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Elzeviro sul Festivāl
Scritto da Valerio Venturi   
domenica 06 marzo 2005

SANREMO - Premessa doverosa: non ho mai amato il Festival della Canzone Italiana giacché non amo la canzone melodica all’italiana, eredità della mai goduta tradizione compositiva partenopea. Il mio giudizio su ogni edizione del Festival è quindi viziato da tale premessa. Ma il Festival non è mai uguale solo a sé stesso. Infatti non sono mai mancate le aporie, e proprio solo occupandomi di certi ‘cortocircuiti’ riesco ad interessarmi al Festival di Sanremo: quella ‘kermesse’ delle differenze che ha prodotto negli anni personaggi del calibro di Vasco Rossi, Sergio Caputo, Quintorigo ed altri, quasi sempre lontani dalle vette della vittoria ma premiati dal pubblico reale che acquista i dischi nei negozi di musica. Il Festival 2005 mi è piaciuto per qualcosa e mi è dispiaciuto per molto altro. Devo dire che Bonolis ha retto bene, ma la sua presentazione è parsa a tratti ingessata e troppo buonista. Speravo in una qualche ‘scintilla cinica’ mai arrivata. Intimamente ho rimpianto altri epigoni. Inutile giudicare la Felini, mentre da dire che parzialmente imbarazzata mi è parsa Antonella Clerici, che a fare da sparring-pattern forse non si trova completamente a suo agio. Quindi gli ospiti: perché san Mike Tyson? Perché Bonolis che gli fa da cugino e balla il geghegè mentre il bovino rappa New York New York? La sorpresa è Vasco Rossi che si salva in corner, onorando il Festival ma segnando furbescamente la sua lontananza da esso; e Michael Bublè, disinvolto che ti conquista.

Poi le polemiche: chebarbachenoia, sia la storia delle scommesse che l’’adialettico’ sindaco di Sanremo che si lamenta per i fiori denominati volgarmente ‘lattuga’ (la profanazione del dogma di un credo scomparso; echissene...direi, io – ma forse mr. Borea era obbligato a dire o fare qualcosa). Arrivo alle canzoni, come sempre da considerare ‘alla fine della fiera’ – visto che il Festival è una fiera, principalmente di matrice televisiva: in ordine sparso, esprimo raccapriccio per la cantante dei Matia Bazar e i suoi gorgheggi soul da Mina dei poveri; contesto che la Nicolai abbia presentato un brano ‘jazz’ e mi rallegro che tutto sommato abbia vinto Renga – chi non è soddisfatto, pensi che era in lizza anche il duo Toto Cutugno-Annalista Minetti: in quel caso sarebbe stato veramente difficile ingoiare il rospo. Non mi è dispiaciuto il pezzo di Califano, ma lo dico sottovoce. Ad ogni modo: i migliori come sempre sono stati eliminati. Ci si chiede da chi è formata la tanto decantata ‘giuria dejoscopica’ che decreta il meglio o il peggio di quel che si sente all’Ariston. A mio dire, le eliminazioni sottolineano invece i brani che piaceranno e che sono da ascoltare con attenzione: pollice verso l’alto, quindi, per Velvet, fashion-Vibrazioni, Negroamaro e Nicola Arigliano, aggiungo che tutto sommato non avrei deprecato un trionfo della Ruggiero, che se non altro non fa mai scivoloni e sa dannatamente il fatto suo. Altro da dire? …Che le serate sono state troppo prolisse? Basta usare meno parole e meno opinionastri… Fuori dall’Ariston, in cui si è svolto anche il question-time dalla sala stampa – idea tutto sommato originale e funzionante –, ha fatto jostra di sé la nuova creatura ‘Sanremoff’, contenitore degli eventi collaterali ideato dal comune di Sanremo per autoctoni e turisti: buone le idee, spesso non all’altezza l’organizzazione. L’iniziativa è da promuovere. In attesa che arrivi, un anno o l’altro, un pubblico che non c’è mai stato, e che neanche quest’anno si è visto, considerato che la città dei fiori si è riempita quasi unicamente di operatori del settore ed autoctoni. In attesa, infine, che a Sanremo si svolga il Festival della Canzone Italiana. Parafrasando dall’ultimo numero del Mellophonium, l’inesistente pio San Remo rimane il patrono solo della Canzonetta. È da ben prima del 1987 che ‘si può dare di più’. Ma forse sbaglio desiderio?

Valerio Venturi