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"Around me... Jazz", il fotografo Umberto Germinale racconta il suo mondo in un libro autobiografico |
Scritto da Marco Scolesi
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giovedì 03 giugno 2021 |
OSPEDALETTI - Dopo varie pubblicazioni fotografiche - in proprio o per altre "cause" collettive - Umberto Germinale, classe 1960, fotografo ospedalettese della Phocus Agency e dell’Associazione Fotografi Italiani Jazz, ha deciso di mettere su carta le memorie vissute sull'onda sonora del jazz, che insieme alle foto fa da colonna sonora alle parole. Nasce così il bel libro "Around me... Jazz", uscito per Aracne Edizioni con la prefazione del poeta Giuseppe Conte e la postfazione di Giannino Balbis.
Praticamente tutto il "mondo" di Germinale in un unico volume. Una sorta di appassionata - e un po' nostalgica - autobiografia in musica, tra amicizie e concerti, incontri e aneddoti, con il "collante" della fotografia. Due amori, jazz e fotografia, per un solo "fil rouge". Per diversi anni con Umberto ho "girato" alla ricerca di jazz da ascoltare e da fotografare. Nelle sue foto va alla ricerca dell'anima dei musicisti, di momenti originali, veri, di sfumature, ombre e riflessi. Quando si parte per un festival preferisce muoversi con largo anticipo per "vivere" le prove. Vedendolo lavorare ho capito molte cose del suo carattere. E' discreto ma esigente, i musicisti lo sanno. Umberto scatta, cerca immagini diverse, non convenzionali. E ci riesce quasi sempre. Ci sono gli umori, le atmosfere e le suggestioni del jazz, i momenti dietro le quinte, i secondi prima dell'ingresso sul palco, l'intimità delle prove, il live, la confusione dei locali. Sono "istanti infiniti", rarefatti e preziosi, che in queste pagine si mescolano con il racconto del vissuto, i ricordi, i legami, il territorio. E con la poesia del jazz, ovviamente.
Il volume è diviso in vari capitoli e parte dalle descrizioni dei luoghi e dei festival che l'autore ha frequentato (Ponente Ligure e Costa Azzurra) e si sviluppa con le storie dei molti musicisti incontrati e fotografati (da non perdere quelle su Dexter Gordon, Michel Portal ed Hermeto Pascoal). Poi c'è il "filo conduttore" di un lungo lavoro su Miles Davis, ma soprattutto ci sono le due figure che hanno lasciato un segno profondo e indelebile nella vita e nella formazione di Germinale: Giorgio Bottini (che gli fece scoprire il jazz e poi la fotografia) e Dodo Goya, con il quale Umberto ha organizzato molti eventi, fino ad arrivare alla sua creatura, la rassegna di Ospedaletti "Jazz sotto le stelle" (un capitolo riporta tutte le locandine), che purtroppo ora è ferma, anche se gli appassionati di jazz del ponente ligure la reclamano a gran voce.
Per Germinale, però, scrivere questo libro potrebbe essere stato un pretesto. "Sì, parlare e scrivere di jazz è, per me, probabilmente solo un pretesto della memoria - scrive nella premessa -. Un modo per tenere in esercizio la memoria, per alimentare i ricordi di cui la vita ha bisogno di nutrirsi. Ricordi dell’adolescenza e dei giorni di scuola, della giovane militanza politica, dei compagni di viaggio lungo strade un tempo condivise ed ora solo in qualche caso ancora comuni e, per il resto, lontane, orientate in altre direzioni, per scelta o fatalità. Le amicizie e le frequentazioni rimaste si sono rinsaldate o allentate negli anni, quelle perdute sono state rimpiazzate da nuovi incontri e nuove esperienze". E prosegue: "Gli anni trascorsi non sono pochi, e non pochi sono i ricordi che li abitano. C’è il rischio che qualcosa cominci a sfumare e piano piano a svanire. Allora, prima che questo accada, è opportuno accendere le luci e puntarle almeno sui ricordi più piacevoli: quelli che non si vogliono e non si devono a nessun costo disperdere. Sono quei ricordi che fanno da traino, da volano a tutti gli altri: li risvegliano, li riprendono per mano, li rimettono al loro posto, in una sorta di perfetta catena mnemonica. Così almeno credo. O, semplicemente, così desidero e mi illudo di credere. Di proposito, nel ricostruire i miei ricordi, non mi sono confrontato con nessun amico o conoscente con i quali possa averli a suo tempo vissuti e condivisi. Questo perché non ho voluto correre il rischio di alterare in qualche modo i “miei” ricordi, che sono perciò liberi da ogni influenza esterna. Come scatti fotografici privi di oggettività, del tutto soggettivi. E senza pretese. Tranne quella di scrivere per raccontare: per raccontarmi agli altri, ma soprattutto a me stesso, per cominciare a tirare qualche somma. Le storie di cui parlo in queste pagine, d’altronde, riguardano solo una minima parte del mio vissuto: tutto il resto lo tengo solo per me. Un pretesto, certo. Ma il jazz ha realmente segnato la mia vita. E continua a segnarla".
Infatti, proprio domani, 4 giugno, a Novara Jazz, Germinale inaugurerà la sua mostra fotografica "We want Miles", a cura di Luciano Rossetti, che resterà aperta all'Opificio per tutta la durata della rassegna (programma su Novarajazz.org, fino al 13 giugno). La mostra è un tributo a Miles Davis e alla sua musica attraverso una serie di ritratti, posati e on stage, di musicisti che hanno collaborato nel tempo con il grande trombettista. Musicisti che sono stati, in maniera diversa, influenzati da lui e, musicisti che invece, in determinati periodi, ne hanno influenzato, in qualche modo, lo stile e i cambiamenti sonori della sua musica. Ogni ritratto è completato da una piccola didascalia con indicato il periodo di collaborazione e segnalato un disco o registrazione come guida all’ascolto del viaggio.
LA PREFAZIONE DI GIUSEPPE CONTE A "AROUND ME... JAZZ"
"Bella la vita del jazz in Riviera. La memoria di Umberto Germinale la copre tutta, negli ultimi decenni, e qui in queste pagine che seguono la racconta per immagini, con una serie impressionante di sue fotografie, preziose, narrative, liriche, e con le sue pagine. La memoria, il voler tenere viva una stagione che in qualche modo corrisponde con la propria giovinezza, con le proprie passioni, con la verità profonda del proprio sentire è quello che muove questo libro, che nessun appassionato di jazz dovrà trascurare di leggere. Umberto Germinale sa che il jazz può dare senso a una vita. Ha cominciato giovanissimo - diffido di chi non comincia da giovanissimo ad amare il jazz, e vale anche per la poesia -. Ne ha visto e sentito tanto. Lo ha visto con l’occhio enciclopedico e un po’ predatorio del fotografo, che immortala l’attimo, e lo ha ascoltato con la passione del jazzofilo e dell’organizzatore, di quelli che non è detto che suonino, ma è come se suonassero sempre, il sax con Dexter Gordon - lui gli si rivolgeva chiamandolo “my baby” - la tromba con Miles Davis, il piano con Bill Evans, e cantassero con la voce diroccata e ferita, intenerita e ruvida, scordata e meravigliosa di Chet Baker (forse il jazzista più amato dai poeti). Tanti gli aneddoti, i ritratti, penso a quelli di George Brown e di Archie Shepp.
Tante le foto preziose del libro: tanti volti, tanti strumenti, tante espressioni. Una mi ha colpito particolarmente, quella di Sonny Rollins, con la sua casacca, il suo copricapo, la sua barba, l’aria di uno che ti aspetti di vedere nella Bowery a Manhattan o sul Pier 39 a San Francisco e invece è lì, in mezzo agli stucchi e agli ori della Salle Garnier del Casino di Montecarlo: dove abitualmente sciamano signori borghesi in smoking. L’effetto è surreale, come se il jazz congiungesse gli estremi, e lo fa, e non si ponesse limiti, e non se li pone. E poi Juan les Pins, Nizza, Sanremo, luoghi benedetti dal jazz. E a Sanremo, Villa Ormond, piazza San Siro, Villa Nobel, Pian di Nave, il Pipistrello, dove ricordo una formidabile performance di Gianni Basso, ma dove ora apprendo che ha suonato anche Chet Baker: e dov’ero io, perduto in quale viaggio, per perdermi il mio idolo? E infine la Ospedaletti dove Umberto Germinale ha per anni difeso il jazz “sotto le stelle” in una bellissima rassegna, cui devo tanti bei momenti. Ritrovo tanto del mio amore per il jazz in questo libro.
E ritrovo Dodo, cui mi ha legato un grande affetto e una grande ammirazione. Ero solito chiamarlo “maestro” e aggiungevo ammiccando “di musica e di vita”. E giù a ridere, come matti. Niente come il jazz, che pure ha un suo lato drammatico, insegna a ridere insieme. Cosa ne faremmo mai di una musica che non ci insegnasse a cogliere il ritmo segreto del cuore e delle cose? Del ridere e del piangere? Il jazz ha questo potere formidabile. Per me, consolazione, Paradiso, tessuto ritmico di ogni sentimento e volo leggero dell’anima. Se l’anima vive tra memoria e desiderio, questo libro ha una sua bella anima, fervente come quella del vino. Come un cielo stellato".
Giuseppe Yusuf Conte
(testo scritto ascoltando Chet Baker)
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