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Intervistando: Andy Dulbecco, vibrafonista, "Organizzare festival a Sanremo significa essere eroi"
Scritto da Marco Scolesi   
giovedì 07 gennaio 2021
SANREMO - Andrea "Andy" Dulbecco è uno dei più importanti vibrafonisti a livello nazionale e internazionale. Nato e cresciuto a Sanremo, da molti anni vive a Milano, dove è docente di strumenti a percussione al Conservatorio Verdi. Si muove tra jazz e musica contemporanea, ed è un membro del gruppo Sentieri Selvaggi di Carlo Boccadoro. Lo abbiamo intervistato.

Ciao Andy, la prima domanda è praticamente ovvia. Come hai vissuto e come stai vivendo, a livello personale, questi mesi di convivenza con il Coronavirus?
"Non è stato e non è tuttora facile convivere con la pandemia. Dal punto di vista umano, per tutti i lutti e per le difficoltà economiche in cui ha ridotto una grossa parte della popolazione; da quello musicale per la totale fermata di tutte le attività concertistiche di qualsiasi ambito, dai festival ai club o agli house concerts. Tutto ciò, per di più, in un paese come l'Italia che, anche in assenza del Coronavirus, non ha mai brillato per intraprendenza istituzionale nell'organizzazione di eventi musicali o di aiuti ad enti privati finalizzati allo stesso scopo".

E dal punto di vista musicale come è cambiata la tua attività?
"Personalmente ho sfruttato questo tempo per studiare il mio strumento come non mi è capitato spesso in passato. Ho svolto studi sia dal punto di vista tecnico che improvvisativo cercando anche di ampliare il mio repertorio. Mi sono messo a studiare brani, in alcuni casi anche molto complicati, che spero mi facciano diventare un musicista e uno strumentista migliore. Diciamo che ho fatto di necessità virtù. Parlando con amici musicisti, ho riscontrato in molti di loro le stesse iniziative".

Durante il lockdown ci sono state diverse iniziative di "resistenza", anche grazie ai social e al mondo on-line. In generale come ha reagito il mondo del jazz e tu nello specifico?
"Durante il primo lockdown ho registrato anche alcuni video in solo che sono finiti su Youtube e, sulla pagina Facebook dell'ensemble di musica contemporanea con cui suono stabilmente, cioè Sentieri Selvaggi. Molti di noi hanno usato questo mezzo per mantenere il contatto con il pubblico. Il più attivo in tal senso è stato il mio grande amico e chitarrista Bebo Ferra che per circa 40 giorni ha registrato e postato un video al giorno".

Quali progetti sono saltati e quali sei riuscito a concretizzare in questo anomalo 2020?
"A proposito di Bebo, nel 2020 avevamo parecchi concerti di presentazione del nostro disco in duo che sono tutti saltati. Recentemente ho inciso anche con Enrico Pieranunzi un disco di sue composizioni con Simona Severini alla voce, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Dedè Ceccarelli alla batteria. Anche di questo lavoro non siamo riusciti a fare nemmeno la presentazione essendo uscito in piena pandemia. È stata cancellata anche tutta la stagione milanese 2020 del mio gruppo, Sentieri Selvaggi. Insomma, la situazione non è certo rosea".

Hai in previsione, nel 2021, uscite discografiche o altri progetti?
"Spero, nel 2021 di riuscire a recuperare, almeno in parte, i concerti saltati durante il 2020. Con Bebo vorremmo incidere un secondo disco, probabilmente sempre con la Barnum, etichetta con cui è uscito il nostro primo disco. Il primo era dedicato ai grandi musicisti bianchi del jazz classico e contemporaneo. Il secondo vorremmo invece dedicarlo ai grandi musicisti neri che più ci hanno influenzato. Spero anche di riprendere l'attività con Sentieri Selvaggi. Recentemente abbiamo vinto un bando del Ministero della Cultura che ci potrebbe essere utile ad incrementare la nostra attività all'estero, soprattutto presso gli istituti italiani di cultura nel mondo".

Il vibrafono è uno strumento di nicchia, certamente meno suonato rispetto ad altri. Perché lo hai scelto da giovane e quali sono stati i tuoi vibrafonisti di riferimento?
"Per quanto riguarda le ragioni che mi hanno spinto verso il vibrafono, penso sia stato un evento, da un certo punto di vista, abbastanza casuale. Il mio primo strumento è stata la batteria; l'ho amata molto e, fino almeno ai 19 anni, è stato lo strumento che volevo suonare. Studiando le percussioni in Conservatorio, però, mi sono avvicinato anche al vibrafono. Essendo il jazz la musica che mi appassionava di più, era inevitabile interessarsi a questo strumento i cui grandi solisti si muovevano all'interno di questa musica. Poco prima del diploma in Conservatorio, ho avuto la fortuna di conoscere David Friedman. È lui che mi ha fatto decidere di dedicarmi esclusivamente a questo strumento. David è un vibrafonista americano di eccezionale levatura con cui sono ancora in contatto e con cui ho avuto il piacere e l'onore di suonare in concerto varie volte. Fortunatamente lui vive a Berlino da molto tempo perciò è più facilmente "raggiungibile". Oltre a David, mi ha molto influenzato, logicamente Milt Jackson per il suo rigore stilistico e per la sua estrema "asciuttezza" sia nel fraseggio che dal punto di vista formale. Logicamente non posso non citare Gary Burton, grandissimo virtuoso e musicista dotato di uno stile molto personale. Di Burton trovo illuminante soprattutto il suo modo di trattare lo strumento in totale solitudine".

C'è una nuova scena di vibrafonisti, un ricambio generazionale?
"Sulla scena internazionale, negli ultimi anni, non ho ancora avuto il piacere di ascoltare qualcuno che si avvicini ai nomi che ho citato. Sicuramente c'è qualche strumentista di valore che mi è sfuggito e che spero di ascoltare quanto prima. In Italia invece, negli ultimi anni, abbiamo fatto passi da gigante: in particolare, fra i giovani, vorrei citare, Giovanni Perin, eccellente vibrafonista di Padova, e un giovane sardo che si chiama Jordan Corda e che si metterà sicuramente in luce".

Quali sono stati per te, da ascoltatore, i concerti fondamentali, quelli che ti hanno cambiato la vita?
"Posso dire che, fortunatamente, ce ne sono stati molti, soprattutto durante la mia infanzia. Avere un papà ex musicista e grande appassionato, mi ha permesso di poter ascoltare dal vivo moltissimi grandi musicisti che hanno fatto la storia del jazz. Se dovessi sceglierne alcuni ti direi il trio di Bill Evans, ascoltato a Sanremo all'Auditorium Franco Alfano. Con lui suonavano un giovanissimo ma già eccezionale Marc Johnson al contrabbasso e il grande Philly Joe Jones alla batteria. Al Teatro Romano di Verona vidi invece, nel 1985, il trio di Keith Jarrett, con Gary Peacock e Jack De Johnette: fu un concerto commovente. Alla Grande Parade du Jazz di Nizza ricordo con particolare piacere la big band di Count Basie con ancora Basie a dirigerla".

Ad agosto 2020 sei tornato nella tua Sanremo per un concerto inserito in Zazzarazzaz. Che ricordi hai della serata e cosa significa per te suonare a Sanremo?
"La serata a cui ho partecipato nello scorso agosto è stata un evento simpatico e mi ha permesso di rivedere alcuni vecchi amici. Devo ammettere, però, che non amo particolarmente suonare a Sanremo. Mi spiace dirlo perchè è la città dove sono nato, ma la apprezzo molto di più per altre ragioni che non comprendono però questioni musicali. In Italia ci sono regioni che possono vantare una tradizione musicale e culturale di ben altro spessore rispetto a quella che si trova dalle nostre parti. Mi riferisco a regioni come il Veneto, il Trentino Alto Adige e, naturalmente, la Lombardia per il nord o la Sardegna e la Sicilia per il sud. Trovo che Sanremo non sia riuscita a crearsi una propria identità culturale a causa di una forte esposizione mediatica (soprattutto televisiva) che ha determinato una banalizzazione della proposta, sia musicale che culturale. Questo attualmente è il mio pensiero. Spero, di fronte ad un cambiamente di rotta, di mutare presto opinione, e di ritornare a frequentare musicalmente più spesso la città dove sono nato".

Nel ponente ligure organizzare eventi jazz è sempre più difficile, ad esempio Jazz sotto le Stelle di Ospedaletti non si fa più e Rosario Bonaccorso sta valutando di portare il Percfest altrove. Quali sono le tue sensazioni in merito?
"Ormai da molti anni, purtroppo la vita musicale sanremese, jazzistica e non solo, si è praticamente azzerata. Chiaramente mi riferisco alle musiche di ricerca ed, in particolare alla classica e al jazz. Non bisogna dimenticare che Sanremo è una città di provincia e anche, geograficamente, un pò decentrata. Spesso, nei miei pensieri, paragono gli organizzatori di eventi musicali di ricerca in Liguria, come a una sorta di eroi. Persone che devono affrontare e superare enormi difficoltà per riuscire a portare a termine la loro stagione di concerti. Come tu hai giustamente detto, Umberto (Germinale, ndr) e Rosario (anche e soprattutto eccellente contrabbassista) sono di questa categoria insieme a pochi altri".