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Recensendo [cd]: "From this place" di Pat Metheny
Scritto da Adriano Ghirardo   
giovedì 19 marzo 2020
Il destino ha voluto che il quarantasettesimo disco del chitarrista del Missouri uscisse dieci giorni dopo la prematura dipartita di Lyle Mays, musicista che ha contribuito in maniera decisiva al “sound” del Pat Metheny Group. Ma, come ogni grande musicista, Metheny ha saputo sempre mantenere una voce originale nonostante i cambiamenti di formazione nei suoi progetti. Da qualche anno collabora col pianista inglese Gwilym Simcock, la contrabbassista australiana (seppure di evidenti origini asiatiche) Linda May Han Oh e il fedelissimo Antonio Sanchez alla batteria che rappresentano il nucleo fondante di questa incisione. In post produzione Metheny ha deciso di avvalersi della Hollywood Studio Simphony diretta da Joel Mc Neely, con arrangiamenti di Alan Broadbent, e la scelta aggiunge pathos alle pagine più melodiche di questa riuscita summa del suo universo musicale. Perché il suo tocco è inconfondibile, sia nel fraseggio che nella composizione, e quindi i rimandi ad altri dischi (talvolta espliciti come in “Sixty-six” che fa il verso alla famosa “Last train home”) si colgono qua e là. Ma Metheny ha sempre l'entusiasmo del ragazzo che si avvicinò al jazz cinquanta anni fa e, nelle note di copertina, racconta dell'emozione nel chiedere a Ron Carter, compagno di concerti in duo, del motivo per cui il quintetto di Miles producesse musica sempre nuova e stimolante in studio proponendo, invece, rielaborazioni di standards dal vivo. L'idea di usare l'esecuzione di brani noti per sviluppare un rapporto empatico con i propri collaboratori, mutuata da Davis, ha stimolato questo progetto con sedici nuove composizioni eseguite senza prove. Dall'ascolto di “From this place” direi che la scommessa è stata vinta: un occhio al Pat Metheny Group, riuscite improvvisazioni e un notevole interplay lo rendono uno dei suoi migliori prodotti recenti.