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L'editoriale [numero 53]: "Umano troppo umano, le improvvisazioni di Jarrett nascono dall'anima"
Scritto da Marco Scolesi   
domenica 26 maggio 2019
Ho ancora nelle orecchie il bellissimo piano solo "La Fenice" che Keith Jarrett ha registrato per l'etichetta discografica tedesca Ecm. Il doppio cd è uscito nel 2018, mentre ora, con il nuovo anno, segnalo con piacere una pubblicazione dedicata proprio al musicista di Allentown. Si tratta di "Keith Jarrett-Improvvisazioni dell’anima" del genovese Alessandro Balossino (Edizioni Chinaski, collana Voices, pagine 200, euro 15). Nel libro emerge l'altro volto di Jarrett, quello umano, anzi troppo umano. Il volume è disponibile da alcune settimane: un omaggio ad uno dei pianisti più geniali della recente storia della musica, raccontato attraverso la sua opera, ma anche attraverso quegli aspetti, decisamente più umani, che hanno travagliato la sua vita materiale e spirituale. Dai momenti terribili della malattia (Jarrett ha sofferto di quella che venne diagnosticata come una "sindrome da fatica cronica" alla fine degli anni Novanta e fu costretto al confino-isolamento nella sua casa per lunghi periodi di tempo) all'interesse per le illuminanti teorie filosofiche di Georges Ivanovic Gurdjieff, dalle intuizioni sul palco alla turbolenza nei rapporti con gli altri. E poi la musica e la sua ricerca dell’improvvisazione pura. Keith Jarrett sale sul palco non sapendo ancora cosa suonare. Si concentra mentre in sala non vola una mosca, rendendo a volte l’attesa persino imbarazzante. Poi, come per miracolo, si china sulla tastiera, le mani si avvicinano ai tasti, li sfiorano e finalmente arriva la prima nota. A volte l’attacco è faticoso, Jarrett non riesce a trovare il seme giusto e gli riesce difficile uscire dalla situazione in cui si è cacciato. Poi accade quello che nessuno pensa sia possibile, arriva un’altra nota: è quella giusta. Il musicista americano compone all’istante, senza partitura, senza rete, suona quello che la mente gli suggerisce. Lo sforzo è sovraumano, si contorce, ondeggia, si alza dallo sgabello, batte i piedi sul legno del palco, si agita, cerca di accompagnare le note con il corpo, canticchia la melodia un attimo prima di eseguirla con le mani, ansima. Il più delle volte la musica è meravigliosa, si sentono Chopin, il blues, il jazz, la poesia, un ritmo ostinato, una melodia indiana, così come accadde durante il suo famoso concerto di Colonia: "The Koln Concert", il disco più venduto nella storia del jazz. Jarrett è diventato famoso anche per il suo comportamento sul palco durante i concerti. In più di un'occasione, durante diversi concerti, ha chiesto al suo pubblico il più assoluto silenzio, anche con un certo nervosismo, e ha dichiarato di mal sopportare il fumo e il rumore durante l'esecuzione dei brani, così come colpi di tosse e applausi troppo vigorosi mentre il concerto non è terminato. Durante il concerto di Umbria Jazz 2013 è giunto ad esibirsi al buio più completo, rivolgendo le spalle al pubblico. Riguardo a queste intemperanze Jarrett ha dichiarato che non è sua intenzione maltrattare il pubblico, che anzi considera parte integrante delle sue esibizioni, e che le sue esternazioni di malumore e nervosismo sono dovute al fatto che troppe distrazioni causano la perdita della melodia che ha in testa. È usuale sentire in determinati momenti delle registrazioni, in particolare dei live concert, la voce di Jarrett, captata in lontananza dalla microfonatura del piano, seguire con falsetti i fraseggi melodici, usanza riconosciuta nel jazz soprattutto dai solisti, ma non adottata da molti pianisti. A volte sono catturati i battiti del piede, spesso con molta intensità nei momenti più ritmici, oltre a varie esternazioni come esclamazioni di "piacere" e soddisfazione durante particolari momenti musicali. Questa usanza è stata introdotta da Oscar Peterson, altro grande pianista. Altre polemiche sono derivate dal suo modo di suonare durante le improvvisazioni, muovendosi sul piano. Jarrett ha dichiarato che il suo rapporto con il pianoforte è fisico, che i suoi movimenti sono involontari e che gli hanno anche causato dolori alla spalla e alle braccia. Anche per tutti questi aspetti Jarrett va considerato "umano troppo umano", poiché imperfetto e con i difetti (e i pregi) di noi mortali. "Sono cresciuto assieme al pianoforte, ne ho imparato il linguaggio mentre cominciavo a parlare", ha detto lo stesso Jarrett. Un rapporto intenso, che ancora oggi non smette di sorprenderci.