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Rassegne
Taggia: bilancio della prima edizione dell'Uno Jazz Festival
Scritto da Adriano Ghirardo   
martedì 20 luglio 2010
TAGGIA - Un nuovo festival è andato ad arricchire l’offerta jazzistica nel ponente ligure: dal 16 al 18 luglio nella cornice del borgo taggese si è svolta la prima edizione di Uno Jazz Festival, rassegna che auspichiamo avrà la forza di crescere e proseguire negli anni a venire. La scelta degli artisti da parte del direttore artistico Antonella Daolio ha privilegiato la qualità evitando la ricerca del nome a tutti i costi: ciò nonostante il pubblico ha risposto con calore e partecipazione alle tre serate dimostrando interesse per le varie forme della musica improvvisata di origine afroamericana. Nella prima serata le magiche atmosfere create dal duo Pasodoble formato dal contrabbassista svedese Lars Danielsson e dal pianista polacco Leszek Mozdzer hanno incantato il pubblico con una proposta musicale più rarefatta ed intimista rispetto al quartetto di David Linx e Diederik Wissels che, in bilico tra jazz e pop d’autore, ha prodotto un set piacevole e leggero. Sabato il clou della serata è stato il duo tra il sassofonista Andy Sheppard ed il chitarrista John Parricelli in un programma di composizioni originali e moderne che ha denotato il grande interplay tra i due musicisti. Il jazz locale si è ritagliato il suo spazio con l’esibizione della Jazz Ambassadors Big Band diretta da Leo Lagorio che ha eseguito complesse partiture composte ed arrangiate dal suo leader storico. Nell’ultima serata il duo formato da Misha Alperin al pianoforte ed Arkady Shilkloper al corno francese ha dimostrato una volta di più l’originalità del jazz europeo ormai in grado di differenziarsi dagli schemi originari attraverso una fusione delle strutture standard con le musiche popolari autoctone. Il virtuosismo e la carica dei due musicisti ha consentito ad una proposta comunque non particolarmente agevole di raggiungere il consenso non solo della critica ma del pubblico presente. Il momento meno convincente della rassegna, a nostro parere, è stata l’esibizione di Karin Krog alla voce e Tony Coe al sassofono i quali, forse appesantiti dall’età, non hanno saputo andare oltre ad una manieristica rilettura di standards senza riuscire nel miracolo che consente, ad esempio ad un Keith Jarrett, di reinventare continuamente un repertorio battuto da decenni.
 
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