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L'editoriale [numero 7]: "Beat e Be Bop: Keroauc, Ginsberg e Burroughs a ritmo di jazz"
Scritto da Marco Scolesi   
venerdì 31 ottobre 2014
Personalmente sto dalla parte dei poeti Beat, battuti e sconfitti dalla storia ma gloriosi e beati allo stesso tempo. Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Neil Cassady, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso e William Burroughs, insieme a molti altri scrittori e poeti, negli anni 50-60 hanno sognato la libertà e un mondo diverso, fuori dalla gabbia dei condizionamenti. La loro utopia meravigliosa l'hanno cavalcata fino all'ultimo provando un brivido che noi cresciuti negli anni 80 non possiamo neanche immaginare. A noi hanno tolto il sogno, tutto era già compromesso o comunque era l'inizio del baratro. E allora tentiamo di riviverlo attraverso chi ci ha preceduto. In tal senso gli anni 60 hanno rappresentato l'ultima occasione, poi mancata. Il fermento era notevole, sia a livello letterario che musicale. I Beat, che sono riusciti a interpretare le inquietudini di una generazione sapendo fondere trasgressione (droghe e alcool) e serietà, avevano scelto come loro colonna sonora il jazz, in particolare il Be Bop di Charlie Parker, adorato da Kerouac. Proprio il fondatore del movimento poi teorizzato da Ginsberg, intuì che quel modo spontaneo di scrivere, quasi senza punteggiatura, era vicino al fraseggio del sax di Parker, alla tromba di Dizzy Gillespie o al piano di Thelonious Monk. Tutto era nato nel 1946 alla Columbia University. Kerouac ama lo stile autobiografico e scriverà il libro di culto dei Beat, cioè "On the road", Ginsberg sceglierà la poesia e l'impegno politico, così come Ferlinghetti e Corso, Burroughs uno stile decisamente surreale e immaginifico ("Il pasto nudo" ne è un chiaro esempio). Il fenomeno Beat esploderà nel 1957, anno di pubblicazione di "Sulla strada", l'anno prima era uscita "Urlo" di Ginsberg, sollevando le critiche pesanti dei conservatori americani. Da allora sono trascorsi diversi decenni, tuttavia la forza di quella esperienza è ancora viva, non si è esaurita. Alcuni temi cari ai Beat sono diventati patrimonio comune: pace, libertà, liberazione sessuale, ecologia, purtroppo obiettivi ancora da conquistare. Nello stesso periodo anche i jazzisti più moderni iniziavano a rompere gli schemi tradizionali, come i Beat in letteratura. Inevitabile l'incontro. "La musica è la tua esperienza, la tua saggezza, i tuoi pensieri. Se non l'hai vissuta non uscirà dal tuo strumento", diceva Parker. Kerouac userà parole molto simili per descrivere il suo rapporto con la scrittura. La grande rivoluzione arrivò con William Carlos Williams, che introdusse il concetto di ritmo nella parlata reale, il cosiddetto "breath stop". Praticamente l'arresto del respiro è dove la persona smette di pensare e respira. Chiamò così questa metrica "misura relativa". Per relativa si intendeva che il verso poteva essere più lungo o più corto ma relativamente uguale se misurato a seconda dell'intensità del respiro e del tempo occupato dall'enfasi nel pronunciare il verso. Per arrivare a ciò si deve intonare l'orecchio alla parlata reale delle persone che ci circondano. Questo è uno dei punti fondamentali del collegamento musicale-poetico della poesia Beat, prima con il Be Bop e successivamente con il Free Jazz di Ornette Coleman. Anticipatore era stato il movimento degli Hipster. Questo gruppo di figure distaccate rappresenta la corrente esistenzialista statunitense, che riconosce il rischio di una guerra atomica, e sente oppressivamente il peso della società consumistica statunitense del dopoguerra e dell’asfissiante standardizzazione delle masse. Hipster è un termine nato negli anni 40 negli Stati Uniti per descrivere gli appassionati di jazz e in particolare di Be Bop. Si trattava in genere di ragazzi bianchi della classe media, che emulavano lo stile di vita dei jazzisti afro-americani. Questo tipo di sottocultura si ampliò rapidamente, assumendo nuove forme dopo la seconda guerra mondiale, quando al movimento si associò una fiorente scena letteraria. Kerouac descrisse gli Hipster come anime erranti portatrici di una speciale spiritualità. Fu però Norman Mailer a dare una definizione precisa del movimento. In un saggio intitolato "Il bianco negro" (1967) descrisse gli Hipster come esistenzialisti che vivevano la loro vita circondati dalla morte e che decidevano di divorziare dalla società, vivere senza radici e intraprendere un misterioso viaggio negli eversivi imperativi dell’Io. Cosa ci ha lasciato dunque la Beat Generation? A livello poetico, e lo sapeva bene Fernanda Pivano che la fece conoscere in Italia, la capacità di esprimersi oltre gli schemi. A livello morale e personale l'onestà intellettuale nell'accettazione e nella conoscenza di sè. A livello sociale la difesa dei valori della non violenza e del rispetto reciproco. Ancora in volo quindi sulle note di Bird e le parole dei poeti Beat, verso il sogno che mai trovammo. 
 
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