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L'editoriale [numero 8]: "I 40 anni di carriera di Paolo Conte, maestro della canzone jazzata"
Scritto da Marco Scolesi   
giovedì 27 novembre 2014
Il maestro è nell'anima e dentro all'anima per sempre resterà. "Non è facile, ogni tanto ci sono brutti pensieri. Ma oggi sono più felice di quando ero giovane. Quando ti guardi indietro e sai di aver fatto il lavoro che ami per tutta la vita, non puoi che sentirti in pace con il mondo". E' sereno Paolo Conte, che per celebrare 40 anni di carriera, ma fuori da ogni mondanità, ha pubblicato un nuovo cd con 15 brani inediti, "Snob", ed è partito per un lungo tour dove però suonerà le canzoni più vecchie. "Voglio farle rivivere sul palcoscenico, quelle nuove il mio pubblico deve ascoltarle con calma". Come sempre fuori dagli schemi. "Sono un caso a parte, un solitario, non amo la vita sociale". Oggi, 77 anni, il maestro della canzone jazzata vive in campagna con la moglie Egle, nelle terre della sua Asti, ascolta musica classica, dipinge (d'estate, all'aperto) e si dedica a rebus e crittografie. Anche il disco è stato presentato ad Asti (la conferenza stampa si può vedere su You Tube), nell'azienda vitivinicola Braida, nota per il Bricco dell'Uccellone o per il Barbera superiore. Paolo Conte è tornato, un giocoliere della parola scritta, un tessitore di armonie e tappeti sonori, un musicista dotato di un'ironia schiva e severa, frutto di un estenuante lavoro di artigianato. "E' uno scudo, la parola arte mi fa troppa paura, è altisonante". E' sempre stato ai margini, dentro un altrove ricercato, provinciale ma elegante al tempo stesso. "Mi sono sempre sentito estraneo, anche quando sono entrato nel mondo della canzone d'autore. I grandi cantautori degli anni 70 erano impegnati politicamente e arrivavano dalle università. Io no, arrivavo dalla musica di consumo, scrivevo canzoni per altri, come Adriano Celentano. Invece, grazie al mio modo strano di cantare, alla mia originalità, mi accettarono. La prima volta al Tenco di Sanremo, però, avevo paura di stufare. Cantai solo due brani e me ne andai". E oggi? "Mi pare che in questi anni sia peggiorato tutto e la produzione artistica è spesso lo specchio di quello che viviamo. Oggi si respira poca arte in giro. Si sente tanto ritmo, ma la melodia che fine ha fatto?". E l'emozione più grande di questi 40 anni? Il momento più bello? "Ce ne sono stati tanti, ma il momento più bello è stato a Parigi, in occasione dei miei primi tre concerti all'estero. Il teatro era tutto esaurito. Il taxista che mi portò dall'albergo alla sala mi fece i complimenti e nella hall una signora bionda polacca girava con un cartello in cerca di biglietti, che però erano già stati venduti tutti. Con Renzo Fantini decidemmo di nominarla presidente del Paolo Conte Fan Club. Uno spasso". Un successo meritato. Da lì iniziò un percorso ricco di soddisfazioni, con concerti in tutta Europa e negli Stati Uniti, patria dell'amato jazz. Personalmente ho avuto la fortuna di applaudirlo tante volte, la prima fu alla Pinede di Jazz a Juan quindi all'Auditorium Alfano. Ero anche dietro le quinte dell'Ariston quando, facendo una sorpresa a tutti, cantò "Roba di Amilcare" per ricordare l'amico Rambaldi, morto da poco. Era emozionato e prima di entrare in scena teso, rigido. Si raccolse nel camerino, forse si fece forza con un whisky e un po' di sigarette. Pochi minuti dopo capimmo il perchè con gli occhi lucidi. E poi dischi magnifici: "Un gelato al limon", "Paris milonga", "Appunti di viaggio", "Aguaplano", "Parole d'amore scritte a macchina", "900", "Una faccia in prestito", "Razmataz". Lo sappiamo bene noi del Centro Studi Stan Kenton, che abbiamo fondato a Sanremo, su idea del presidente Freddy Colt, il Festival della Canzone Jazzata-Zazzarazzaz, citando la celebre "Bartali". Il nuovo lavoro in studio, che arriva dopo "Nelson", "Psiche" e "Elegia", comprende alcuni brani ispiratissimi. Basta scorrere i titoli per entrare nelle magiche atmosfere dell'avvocato patito di Settimana Enigmistica: "Maracas" (dedicata a Genova, città d'elezione, con alcuni versi in dialetto), "Tropical", "Fandango", "Argentina", "Manuale di conversazione", "Ballerina", "Tutti a casa", "Glamour", "Si sposa l'Africa", "Donna dal profumo di caffè". La chiave interpretativa dell'opera risiede nella ricerca (più suggerita che mostrata) di una critica al "modus vivendi" contemporaneo. Il titolo del disco allude al personaggio dell'omonima canzone, che viene a riassumere in sé le qualità di una persona "non ordinaria" come lo sono, chiarisce l'autore, gli intellettuali, gli snob e i dandy, categoria, quest'ultima, a cui Conte ha dichiarato di sentirsi più vicino. "In quanto il dandy è più puro e più profondo. Lo snob è più raffinato, ma anche più superficiale". Uno dei fili conduttori dell'album, come di tutta la produzione, è l'usuale presenza di geografie e sentimenti di natura esotica. "Sono sempre andato a pescare avanti e indietro nel tempo e il mio periodo preferito, artisticamente parlando, sono gli anni Dieci che sono stati rivoluzionari sotto tanti aspetti dell'arte". E noi, ascoltando il maestro, tra sbuffi, code di pianoforte e ripartenze di kazoo, rimaniamo ancora una volta affascinati. E l'orchestra, ovviamente, continua a dondolare come un palmizio davanti a un mare venerato.

 
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