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L'editoriale [numero 62]: "Addio Wayne Shorter, aveva 89 anni. La sua musica andò verso l'ignoto"
Scritto da Marco Scolesi   
venerdì 03 marzo 2023
Personalmente considero "Juju" di Wayne Shorter uno dei dischi più belli della storia del jazz. Un disco che ha contribuito a creare la mia formazione jazz. Così come hanno contribuito il quintetto di Miles Davis, i Weather Report e il suo ultimo quartetto. Shorter - sassofonista e compositore deceduto a 89 anni ieri, nato a Newark nel 1933 - era una delle ultime leggende del jazz, uno che il jazz lo ha ridefinito e lo ha trasportato in una dimensione "cosmica", verso l'ignoto. La musica di Shorter faceva - e farà ancora - l'effetto che deve fare il jazz, ovvero quello di destabilizzare l'ascoltatore, di indurlo a porsi domande, dubbi, ad indagare il mondo interiore, a non restare solo sulla superficie delle cose. Shorter per me era tutto questo, un volo affascinante senza rete e senza protezioni, che però atterrava sempre in luoghi nuovi, magici. Se un musicista jazz riesce a fare tutto questo ha raggiunto lo scopo più alto. E Shorter lo ha fatto sempre, anche nei suoi live.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di ascoltarlo dal vivo: i miei ricordi vanno alla Pinede Gould di Juan Les Pins, alla storica rassegna Jazz a Juan. Nel 2011 in un "Omaggio a Miles Davis" insieme a Herbie Hancock e Marcus Miller. Lui faceva parte della serata, ma non con un suo progetto, eppure mi colpì moltissimo, anche se, negli anni successivi, restai in attesa di poterlo ascoltare con il suo quartetto, composto da lui al sax, Danilo Perez al piano, John Patitucci al contrabbasso e Brian Blade alla batteria. L'occasione arrivò e andammo (con il Ragioniere e il fotografo Umberto Germinale) a Juan Les Pins. In quella esibizione entrai veramente nel mondo sonoro (intendo dal vivo) di Wayne Shorter. Fu un concerto di intesità rara, a tratti ostico e Free ma proprio per questo affascinante, almeno per me. Durante il concerto pensai: "Il pubblico, che spesso cerca solo rassicurazioni, dovrà andare a casa stremato, in barella se necessario". Una magnifica avventura nel suono, uno dei concerti più belli della mia vita di appassionato di jazz, un'esperienza onirica, planetaria, che andò oltre la musica stessa. Di questo "andare oltre" sarò sempre grato a Shorter. Il musicista di Newark venne altre volte in Costa Azzurra, ricordo quella del 2016 al Montecarlo Jazz Festival. E venne anche nel Ponente Ligure: a Sanremo si esibì nel 1963 con i Jazz Messengers e a Cervo in duo con Herbie Hancock nella piazza dei Corallini. Sull'amico Miles Davis una volta disse: "Miles era una porta, un varco, per suonare con lui bisogna voler varcare quella porta, andare verso l'ignoto". Wayne Shorter lo ha fatto sempre.

DAGLI INIZI AL FREE

Il padre lo inizia involontariamente alla musica jazz ascoltando la radio al ritorno dal lavoro: grazie alla trasmissione quotidiana di Martin Block, il giovane Wayne scopre infatti Bud Powell, Thelonious Monk, Charlie Parker, il Be Bop, Coleman Hawkins e Lester Young. Studia musica per quattro anni alla New York University, dopodiché parte militare fra il 1956 e il 1958. Durante questo periodo, suona per un po' con Horace Silver, quindi, congedatosi in ottobre, entra dapprima nell'orchestra di Nat Phipps e poi, nel luglio-agosto 1959, in quella di Maynard Ferguson ove incontra Joe Zawinul. Il suo primo album lo incide in novembre, quando Lee Morgan, presentatogli da Charlie Persip, lo fa scritturare da Art Blakey come sostituto di Hank Mobley, avendo questi abbandonato il gruppo proprio nel corso di una tournée internazionale. Rimarrà nell'organico dei Jazz Messengers sino al 1964, svolgendo persino mansioni di direttore musicale in virtù dei suoi talenti di arrangiatore e compositore. Con la formazione effettua numerose tournée attraverso l'Europa e il Giappone.
Nell'estate del 1964 si unisce al quintetto di Miles Davis per una collaborazione che si protrarrà fino al 1970. In questi anni si avvicina definitivamente al sax soprano e si dimostrerà quanto più sensibile all'apertura del jazz ai nuovi orizzonti musicali. Anche nel quintetto davisiano la sua influenza musicale è notevole con molte composizioni, autentiche gemme del jazz moderno. Nel frattempo, incide ora in qualità di leader, ora di sideman, insieme a Freddie Hubbard, Lee Morgan, Grachan Moncur III, Bobby Timmons. Nel 1970 si separa da Davis. Un anno dopo, si unisce a Zawinul, Miroslav Vitous, quindi Jaco Pastorius, nei Weather Report. Nel corso degli anni Ottanta incide con artisti provenienti da altre esperienze musicali, non propriamente jazzistiche: Joni Mitchell, Pino Daniele, Carlos Santana, Milton Nascimento, Steely Dan. Dopo aver messo fine, nel dicembre del 1986, al sodalizio con i Weather Report, porta infine avanti una carriera principalmente da leader, dedicandosi nella fattispecie alla scoperta di nuovi talenti soprattutto femminili: le percussioniste Marilyn Mazur e Terri Lyne Carrington, e le pianiste Geri Allen e Renee Rosnes. Il suo ultimo quartetto, con Danilo Perez, John Patitucci e Brian Blade, ha segnato il ritorno di Shorter alla musica acustica, oltre che il passo definitivo nella Free Improvisation.

LO STILE

Similmente a molti altri sassofonisti della generazione formatasi alla scuola di John Coltrane, anche per Wayne Shorter sono dovuti trascorrere diversi anni prima che potesse esprimere al meglio il suo talento. L'influenza coltraniana degli esordi (nitidezza nell'attacco delle note, lunghe frasi, contrasti, ricorso al parossismo) è quanto più sensibile in un ambiente sonoro che non differisce di molto da quello del suo primo maestro. Eppure, alcuni indizi (note tronche, punteggiatura in falsetto, roca sonorità appena marcata, dolce lirismo) lasciano già supporre una prossima evoluzione che la vicinanza di Miles Davis avrà solo il potere di accelerare. Inoltre, l'uso sempre più frequente del sax soprano (e del lyricon, sax computerizzato ancora più acuto del soprano), unito alle sue preoccupazioni d'organizzatore del suono, lo immetteranno sulla via d'una creazione plurivocale in cui l'accompagnamento e l'assolo, senza smettere la loro interdipendenza, sembrano tuttavia diventare autonomi. L'impostazione perfetta e l'introduzione di strumenti elettrici, quindi elettronici, culminano in alcune composizioni per i Weather Report, mentre il discorso di Shorter strumentista si fa conciso. Nondimeno, il suo lirismo nostalgico innerva costantemente una musica che, sull'esempio della produzione davisiana, persegue l'unione di bellezza e modernità.

SULLA MUSICA

In una intervista del 2017 rilasciata a Musica Jazz Wayne Shorter disse: "Non è la musica in sé a far grande un musicista. Oggi c’è la tendenza da parte di artisti, romanzieri, musicisti, di tutti quelli che sono sopra un palco a nascondersi dietro ai propri strumenti, che siano un sax, un quadro, uno scritto (...). Questo per dire che la musica in sé non è magica: è la persona a renderla magica. Ci si può domandare: a cosa serve la musica, oltre che a far soldi e a intrattenere? A cosa serve ogni cosa? (...). Siamo capaci di scrivere musica che sappia indicare quale sia lo scopo della vita?".
Shorter amava molto anche i compositori italiani e la lirica: ad esempio Respighi, Puccini e Verdi. E poi anche il pianista Arturo Benedetti Michelangeli, ma per lui per lui erano "musicisti" anche Michelangelo e Leonardo Da Vinci. Quello di Wayne Shorter era un linguaggio universale, un'apertura mentale che fa di lui uno dei più influenti artisti della storia della musica.
 
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