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L'editoriale [numero 48]: "Kenton e gli italo-americani nel jazz: la breve storia di Tony Fruscella"
Scritto da Marco Scolesi   
mercoledì 27 giugno 2018
Noi del Mellophonium.it, poiché organo di stampa del Centro Studi Musicali Stan Kenton*, abbiamo sempre avuto un "debole" per i musicisti jazz italo-americani. O almeno un occhio di riguardo, poiché il nostro capo orchestra, il vecchio Stan, ne utilizzò sempre molti nei suoi vari progetti orchestrali e collaborò con loro a più riprese. Praticamente accompagnarono sempre il suo percorso musicale, la sua ricerca, le sue sfide. Inoltre, e ne abbiamo già scritto in diverse occasioni, il 2017 appena passato per gli appassionati di jazz è stato un anno importante, che anche noi del Mellophonium.it abbiamo celebrato. Il jazz ha compiuto 100 anni e sono state molte le iniziative organizzate in tutto il mondo. E' stato così anche in Italia e segnalammo il dvd più cd e dvd più lp di "Sicily Jass-The world's first man in jazz", il film diretto da Michele Cinque che racconta l’appassionante vicenda biografica del leggendario Nick La Rocca, cornettista, figlio di un emigrante siciliano e leader della Original Dixieland Jass Band, l'ensemble di New Orleans che nel 1917 incise il primo disco jazz della storia, vendendo oltre un milione e mezzo di copie. In sostanza tutto è nato in quel momento, grazie ad un musicista italo-americano. Proseguiremo su quel solco, inaugurando con questo editoriale una sorta di filone, che poi proseguirà ma senza scadenze prestabilite. Ma vediamo, quindi, la breve e disperata storia di Tony Fruscella, recentemente omaggiato da Enrico Rava su Radio 3 in un emozionante Wikiradio. Rava ne ha esaltato il suono e la "voce", riconoscibili a prescindere dalla tecnica, che magari non era eccelsa. Nella musica di Fruscella (che però non suonò mai con Kenton, anche se ebbe modo di presentarlo al Newport Jazz Festival del 1954 in occasione del live del quartetto di Gerry Mulligan) c'era l'anima, c'era il sentimento, c'erano tutte le sue esperienze "irregolari" che entravano negli assoli. Un po' come per Chet Baker, altro grande romantico della tromba. Tony Fruscella era nato a Orangeburg il 4 febbraio 1927 e morì a New York il 14 agosto 1969. Tombettista, si formò in un orfanotrofio dove studiò musica con Jerome Cnuddle. Uscì dall'istituto a 15 anni e conobbe il jazz. A 18 anni prestò il servizio militare dove suonò nella banda dell'esercito. Nel 1948 entrò per la prima volta in sala di incisione assieme a Bill Triglia, Red Mitchell, Dave Troy e Chick Naures. La seduta verrà pubblicata solo molti anni dopo. Nella prima metà degli anni '50 suonò con Lester Young, Gerry Mullingan e Stan Getz. La collaborazione con quest'ultimo è testimoniata da due brani incisi per la Verve e da una manciata di registrazioni di fortuna. Nel 1952 venne registrato privatamente nel suo studio da Rudy Van Gelder. Anche questi quattro brani vedranno la luce una trentina d'anni dopo. Collabora soprattutto con Don Joseph, Brew More, Art Mordigan, suonando soprattutto all'Open Door, dove suonava spesso anche con Charlie Parker. L'unica seduta ufficiale è quella dell'Atlantic, tra il 29 marzo e l'1 aprile del 1955. Gli arrangiamenti e le composizioni sono di Phil Sunkel. Al tenore c'è Allen Eager, al piano Bill Triglia. In questa che resta la migliore testimonianza della sua musica c'è anche un riferimento alla musica ecclesiastica ascoltata nell'infanzia: infatti il tema di "His master voice" coincide con il famoso canto "Prendi questa offerta". I problemi di droga e alcolismo lo condizionarono pesantemente consentendogli solo qualche ingaggio fuori dal grande giro. Praticamente senza fissa dimora, morì di cirrosi epatica nel 1969. Quello di Fruscella è certamente un caso isolato, un volo istantaneo, durato un breve frammento che però ha lasciato il segno. Sono molti, però, i musicisti italo-americani che possono vantare carriere lunghe e importanti. Citiamone solo alcuni: Joe Lovano, Mike Mainieri, Chuck Mangione, Charlie Mariano, George Garzone, Pat Martino, Chick Corea, Frank Rosolino, Tony Scott, Lennie Tristano, Jimmy Giuffre, Joe Venuti, Bill Russo, Pete Rugolo, Carl Fontana, Gary Barone, Billy Catalano, Pete e Conte Candoli, Jack Costanzo e Vido Musso. E l'elenco potrebbe continuare a lungo e, prima o poi, proseguirà. Per stare ancora un po' in loro compagnia e per scorgere, magari da lontano, il vecchio Stan.

*Stan Kenton era nato a Wichita l'11 dicembre 1911. Morì a Los Angeles il 25 agosto 1979. E' stato un compositore, direttore d'orchestra e pianista jazz. Nei suoi ultimi anni si dedicò soprattutto all'insegnamento. Kenton è tra le grandi figure del firmamento della storia del jazz. La sua orchestra, fortemente caratterizzata da un particolare suono (Kenton Sound) sapiente e seducente (anche grazie alla collaborazione di diversi arrangiatori come Pete Rugolo, Lennie Niehaus, Gene Roland, Gerry Mulligan e lo sperimentatore Bob Graettinger) getta un ponte tra la musica jazz afro-americana e le acquisizioni raffinate e suggestive della musica colta del Novecento. La sua orchestra si avvalse sempre di importanti personalità, ad esempio trombonisti, quali Frank Rosolino, Kai Winding e Carl Fontana, o alfieri del suono cool-newyorkese come Lee Konitz e Dave Van Kriedt. Specializzato nell'arrangiare ritmi afro-cubani (di cui fu un pioniere) per grandi organici (e alcune delle sue orchestre sfioravano i quaranta elementi), Kenton fu un direttore d'orchestra dotato di un suono distintivo e di una grande influenza sul panorama musicale: i componenti delle sue orchestre erano normalmente solisti di prim'ordine. Le idee che propugnava, e soprattutto il suo modo di porle, gli attirarono molte critiche inclusa quella (mossagli da Leonard Feather e probabilmente ingiusta) di avere pregiudizi razziali. Resta di lui e della sua orchestra una grande e imponente discografia variamente citata. Senza dubbio la musica di Kenton stride alle orecchie degli ascoltatori di jazz classico come quello di Duke Ellington, Count Basie e altri, per molte delle sue scelte musicali. In primis, un elemento che contraddistinguerà Kenton in molte sue registrazioni (e che sarà oggetto di critiche continue), è l'accostare veri e propri muri sonori di fiati (trombe, tromboni), spinti al massimo, talvolta alla dissonanza, a temi e melodie tranquille. L'imprevedibile è sempre un elemento principale in Kenton, tant'è che in molti suoi brani non si è mai in grado di capire cosa accadrà dopo: un piano solo, un tema eseguito dall'orchestra o un'esplosione astratta di note, eseguite dai fiati. Ma lo stile di Kenton arriva fino alla cinematografia: saranno infatti le musiche dei film polizieschi a influenzarlo molto. Successivamente, una passione che Kenton coltiverà per molti anni sarà quella per la musica cubana e latina. Infatti, molte delle composizioni che scriverà e da cui trarrà ispirazione avranno come radice i ritmi cubani e africani, non a caso si circonderà di percussionisti e di polistrumentisti. I suoi trombettisti ad esempio, nel brano "Peanut Vendor", useranno percussioni durante alcuni stacchi ritmici.
 
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