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L'editoriale [numero 59]: "Keith Jarrett non suonerà più live, godiamoci i cd e gli attesi inediti"
Scritto da Marco Scolesi   
giovedì 01 luglio 2021
Nel Best Jazz 2020 del Mellophonium.it, nel quale segnaliamo i cd migliori cd usciti nell'anno, decisi di non inserire il "Budapest Concert" di Keith Jarrett. Il motivo? Semplice: volevo dedicare al grande pianista statunitense uno spazio a parte, un editoriale appunto, con maggiori dettagli e apprezzamenti. Sia per osannare l'ennesimo bel disco Ecm del pianista americano, sia per celebrare un artista che con ogni probabilità non potrà più suonare dal vivo per problemi di salute. Personalmente mi resterà per sempre il rammarico di non averlo mai ascoltato "in solo", in compenso l'ho ascoltato con lo Standards Trio (completato da Gary Peacock al contrabbasso e Jack De Johnette alla batteria) almeno una dozzina di volte, a Jazz a Juan.

Ma torniamo all'attualità. A fine 2020 Jarrett ha rilasciato al New York Times una lunga intervista, nella quale ha parlato della sua malattia. Jarrett ha raccontato di avere subito due ictus che lo hanno lasciato semi-paralizzato e che gli impediranno di tornare a suonare. Il concerto del febbraio del 2017 alla Carnegie Hall di New York rimarrà probabilmente l'ultimo. Nel frattempo usciva il "Budapest Concert", un album registrato nel 2016, tri migliori delle produzioni delle improvvisazioni dal vivo, almeno dei tempi recenti. In tal senso il più famoso resta il "The Koln Concert" del 1975. E pensare che nacque facendo di necessità virtù, a causa di un pianoforte malconcio, in una sala in cui il musicista non voleva neanche suonare. Jarrett sfruttò le limitazioni del piano per lanciarsi nella costruzione di una performance che sarebbe diventata epocale. I suoi dischi di piano dal vivo hanno inventato un genere a sé: nella mitologia di Jarrett c'è anche il racconto di come, davanti al piano, crea un vuoto totale ed è da lì che nasce quella musica irripetibile. Un vuoto che richiede una concentrazione assoluta, anche per questo motivo Jarrett ha avuto spesso atteggiamenti di intolleranza nei confronti del pubblico.

Se negli ultimi decenni il "piano solo" è un genere diventato sempre più mainstream e sempre meno per appassionati, il merito - o la colpa - è soprattutto di Keith Jarrett. Ma dicevamo del "Budapest Concert". Il cd - come il "Munich Concert", altra perla recente - è strutturato in una serie di improvvisazioni di durata abbastanza breve, più due standards come bis. Dopo la "Part I" (la più complessa e meno melodica),  Jarrett propone una serie di improvvisazioni che vanno dalla melodia più diretta alle improvvisazioni più ritmiche, in cui entra quasi in trance (e in cui si sentono i suoi leggendari vocalizzi che seguono le note), a brani più vicini al blues e al jazz. Il "Budapest Concert" è riassunto perfetto del piano solo di Keith Jarrett. Godiamocelo, come gli altri inediti che arriveranno (o almeno speriamo che arrivino, soprattutto quello del 2017 alla Carnegie Hall), perché, come si diceva, Jarrett non potrà più suonare dal vivo, o almeno così lascia intuire nell'intervista rilasciata al New York Times.

"Sono rimasto paralizzato. Il mio lato sinistro è ancora parzialmente paralizzato. Posso camminare con il bastone, ma c'è voluto oltre un anno", ha detto Jarrett. Dopo mesi di riabilitazione in una clinica, a maggio 2020 Jarrett è tornato a casa e ha provato a riprendere confidenza con la tastiera ("Fingevo di essere Bach con una mano sola. Non potrò guarire. Il massimo che posso fare con la mano destra è reggere una tazza"). Nel 2018 il pianista di Allentown fu costretto ad annullare alcune esibizioni per ragioni di salute, all'epoca non specificate. Poi si ritirò in un lungo silenzio, fino alla già citata intervista. "Non so cosa mi porterà il futuro. Quello che posso dire ora è che non sono più un pianista", ha commentato Jarrett. Certamente nessuno potrà mai cancellare 50 anni di carriera, concerti, incisioni e collaborazioni, ad esempio con Charles Lloyd e Miles Davis. E soprattutto i cd dello Standards Trio e i "piano solo", che partono dal jazz e vanno oltre, verso la musica totale e "spirituale".
 
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