Massimo Altomare
Ha fatto molto bene Massimo Altomare a cimentarsi nel repertorio ironico che a partire dalla fine degli anni Venti fino alla metà degli anni Cinquanta caratterizzò un validissimo filone della musica leggera italiana.. La scelta di Altomare opera sostanzialmente su due filoni: quello ironico-scanzonato e quello swingante con uso del doppio senso. Al primo appartengono dei classici di autori altamente rappresentativi di quel periodo (Mascheroni, De Angelis, Morbelli, ecc.); mentre lo swing è presente con brani piuttosto noti qui rivisitati con gusto ed eleganza. Del tutto originale, invece, deve considerarsi la riproposta di una parte del repertorio di Marcello Marchesi. Un repertorio straordinario eppur dimenticato, dove l’abile mixing fra ballabilità, swing, ironia e demenzialità ante-litteram tocca vertici assoluti. Massimo Altomare si lancia alla grande in questi brani che hanno colpito la sua fantasia, interpretandoli con ardore e souplesse. Ascoltando “Sounds of humor” occorre però sgombrare il campo da pregiudizi e nevrosi esistenziali. Massimo Altomare non salta al volo sul vagone del revival (con cui di fatto ha poco a che vedere) come l’ultimo degli scapestrati. Nel 1984 ripropose “L’edera”, con tanto di videoclip, unendo ironia e finzione, ricostruendo l’incerta vicenda, presentandosi come il vero misconosciuto interprete della canzone, prima ancora che il brano fosse lanciato da Nilla Pizzi al Festival di Sanremo del 1958. Un’operazione deliziosa in cui Massimo era ritratto in un cinegiornale d’epoca accanto a Bogart, a passeggio con Hemingway, seduto al caffè con Ingrid Bergman, abbracciato affettuosamente con la stessa Nilla Pizzi. Stavolta il progetto è ancor più diretto e trasparente, soprattutto se messo in sincrono con l’attività live, a cui, presumiamo, Altomare vorrà suggerire un intrigante abbinamento con questo repertorio.
Ci siamo conosciuti all’inizio degli anni Settanta, al tempo del suo sodalizio con Checco Loy, e li ricordo supporter in un tour delle Orme. A quel tempo Massimo era infatuato dell’India, dell’Afghanistan e del Nepal, paesi che poi visitò regolarmente – anche se il loro album migliore era “Lago di Vico”-, praticamente un freak, ed oggi è un piacere vederlo svolgere lo sguardo ad un repertorio carico di suggestioni, debitamente aggiornato, per la goia dei veri appassionati. Si spera anche giovani.
Dario Salvatori