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Intervistando: Danilo Rea, pianista, "La nota giusta al momento giusto" |
Scritto da Adriano Ghirardo
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giovedì 19 dicembre 2019 |
ROMA - Il pianista Danilo Rea è nato a Vicenza nel 1957 ma vive a Roma da sempre, dove si è diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia, debuttando nel 1975 nella musica jazz con Enzo Pietropaoli e Roberto Gatto, formando il Trio di Roma. Nel 1997 dà vita, con il contrabbassista Enzo Pietropaoli e il batterista Fabrizio Sferra, ai Doctor 3, un trio classico che però rilegge brani pop o della canzone d'autore in chiave jazz. Non a caso Rea si divide con disinvoltura tra jazz e canzone, soprattutto con Mina e negli ultimi anni al fianco di Gino Paoli. Lo abbiamo intervistato.
Maestro, più di 40 anni di carriera (dai grandi jazzisti americani alla rivisitazione di arie d'opera, passando per i cantautori e interpreti della canzone italiana) testimoniano la sua versatilità artistica. Come è possibile interagire in ambiti così differenti mantenendo sempre un tocco originale?
“Credo che ogni esperienza fatta mi abbia dato l'occasione di approfondire le enormi possibilità della musica improvvisata. Ogni stile musicale ha bisogno di una sua interpretazione, non si può interagire con la musica di Bach come se si suonasse un brano di De André. Ma il gusto è tutto ed è ciò che ti permette di suonare la nota giusta al momento giusto. Una improvvisazione sbagliata è solo priva di gusto, per il resto tutto è permesso”.
Il jazz ha cambiato pelle e stili più volte nella sua turbinosa storia. Oggi si fatica ad intravedere una figura o una scuola di riferimento in grado di dare una direzione precisa ad un movimento ormai ramificato rispetto alla tradizione afroamericana. La via potrebbe essere quella della contaminazione, come suggerisce la lettura del suo libro “Il jazzista imperfetto”, edito da Rai Eri nel 2018?
“Miles Davis diceva, già negli anni 70, che il jazz era finito, così come Sting ha detto del rock. Credo che ambedue i generi abbiano già dato il meglio di sé: musicisti eccelsi, creatività, originalità. La contaminazione è una strada molto simile a ciò che facevano i vecchi jazzisti che improvvisavano sulle musiche dei grandi compositori (Irving Berlin, Cole Porter o George Gershwin). In fondo prendere un brano dei Beatles, di Peter Gabriel o dei Radiohead è un procedimento molto simile, poiché la loro è la musica del nostro tempo”.
Da pianista classico e jazz come giudica le esperienze di fusione tra i due generi come la Third Stream di Gunther Schuller e le versioni jazz dell'opera bachiana fatte da Jacques Loussier?
“In tutta onestà, avendo inciso un cd in duo con Ramin Bahrami su Bach, trovo interessante il lavoro di Loussier ma non amo particolarmente l'idea di mettere la musica del grande maestro di Lipsia a tempo di swing. Inoltre trovo che sia musica troppo strutturata e arrangiata. L'operazione fatta con Bahrami è diversa: lui suona Bach e io improvviso, ma a tempo di Bach e nel pieno rispetto dell'idea del maestro. Poche note improvvisate, quasi a ricordare che i grandi musicisti del passato usavano farlo, molto prima del jazz”.
La sua generazione pianistica ha avuto in lei ed Enrico Pieranunzi i suoi apici. Quali sono, a suo parere, i pianisti più interessanti della scena attuale?
“Tantissimi direi, ormai il livello tecnico è molto alto. Il jazz nelle scuole e nei Conservatori ha creato una generazione di ottimi musicisti. Forse un po' troppo tecnici ma incredibili. Difficile citare i migliori, mi vengono in mente Enrico Zanisi, Domenico Sanna, Alessandro Lanzoni e molti altri”.
Il suo ultimo disco (Tre per una) la vede impegnato, insieme a Massimo Moriconi e Alfredo Golino, nella rilettura in chiave jazzistica del repertorio di Mina. Quanto ha influito nella scelta la vostra decennale collaborazione con l'icona della canzone italiana? Vi siete approcciati alle composizioni come ad un ideale songbook standard italiano?
“Dopo più di 25 anni di musica in studio con Mina avremmo avuto centinaia di brani a cui ispirarci. Ma ci siamo dedicati a ciò che lei aveva fatto e cantato, prima del nostro arrivo, con i grandi direttori d'orchestra (Gianni Ferrio ad esempio). Musicisti che vedevamo da ragazzi nei grandi show serali della Rai e che, con le loro composizioni ed arrangiamenti, hanno reso grande la musica italiana. Poi ci sono le canzoni scritte da Battisti per Mina, un brano di Massimiliano Pani (figlio di Mina e artefice del progetto) e un brano di Giulia Fasolino (moglie di Alfredo Golino, il nostro incredibile batterista). Come incredibile è il contrabbasso di Massimo Moriconi. E' un trio fatto da musicisti che hanno visto e suonato note di tutti i colori. Senza preconcetti e barriere. Solamente in cerca di emozioni”.
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