| Home | Cerca | Galleria Immagini | The Mellophonium Bookshop |
venerd́ 19 aprile 2024
Direttore: Romano Lupi
Responsabile online: Marco Scolesi
| News | Articoli | Rassegne | Recensioni | Interviste |
L'editoriale [numero 45]: "Il 1968 e il jazz, i dischi usciti 50 anni fa, gli eventi e i festival"
Scritto da Marco Scolesi   
marted́ 27 marzo 2018
Il Sessantotto, che viene ricordato quest'anno a distanza di 50 anni, ha certamente influenzato tutte le arti. E' così nel cinema (pensiamo a "Fragole e sangue" di Stuart Hagmann, "Easy rider" di Dennis Hopper, "Zabriskie Point" di Michelangelo Antonioni e a "I pugni in tasca" di Marco Bellocchio), nella letteratura (la Beat Generation negli Usa, Herbert Marcuse e la Scuola di Francoforte e Nanni Balestrini in Italia), nella pittura (la Pop Art, Andy Warhol e Mario Schifano) e chiaramente nella musica. In questa sede anche noi del Mellophonium, da sempre attenti ai "dialoghi", ricorderemo le influenze che il movimento ha avuto sulla musica, ovviamente partendo dal jazz. Prima, però, è opportuno tracciare un breve percorso storico. Il Sessantotto - o movimento del Sessantotto - è stato, a prescindere dalle idee politiche, un fenomeno socio-culturale importante avvenuto nell'anno 1968, nei quali grandi movimenti di massa socialmente eterogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari), formatisi spesso per aggregazione spontanea, interessarono quasi tutti i paesi del mondo (con particolare evidenza negli Usa e in Francia) con la loro forte carica di contestazione contro i pregiudizi socio-politici. Non a caso ancora oggi se ne parla. Lo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente ristretto contribuì a identificare il movimento col nome dell'anno in cui esso si manifestò in modo più attivo. Il Sessantotto è stato un movimento sociale e politico che ha profondamente diviso l'opinione pubblica e i critici, tra chi sostiene sia stato uno straordinario momento di crescita civile (che ha portato ad un mondo "utopicamente" migliore) e chi sostiene invece sia stato il trionfo di una "ingenuità" generalizzata, che rovinò la società, e di un conformismo di massa in cui i figli stessi della borghesia avrebbero voluto abbattere il sistema borghese. Detto questo, in doverosa premessa, torniamo alla nostra "analisi" musicale. Il jazz, musica libera e di improvvisazione, concettualmente si amalgama bene ai ricorsi del Sessantotto (pensiamo al Free o al jazz sperimentale e radicale, che con le note estreme intendeva mettere in discussione il "sistema" e il potere costituito). Vediamo quali dischi jazz uscirono nel 1968, alcuni in linea con le prerogative dell'epoca, altri semplicemente pubblicati in quell'anno ma non necessariamente riconducibili a quelle atmosfere. Tra i grandi dischi, che poi segnarono la storia della musica afro-americana e che ancora oggi citiamo come fondamentali, troviamo "Filles de Kilimanjaro" e "Miles in the sky" di Miles Davis (periodo elettrico), "Now he sings, now he sobs" di Chick Corea, "Speak like a child" di Herbie Hancock e "Bill Evans at the Montreux Jazz Festival" di Bill Evans. Addirittura tre lavori di Hugh Masekela: "The lasting impression of Hugh Masekela", "The promise of a future" e "Africa '68", a dimostrazione del fatto che all'epoca non si facevano troppi calcoli commerciali. Sempre del 1968 sono i seguenti album: Michael Mantler "The Jazz Composer's Orchestra", Roscoe Mitchell "Congliptious", Don Cherry "Eternal rhythm", Peter Broetzmann "Machine gun", John Surman "John Surman", Spontaneous Music Ensemble "Karyobin", Kenny Wheeler "Windmill tilter", Modern Jazz Quartet "Under the Jasmin Tree", Roland Kirk "Left & right", Sun Ra "Outer spaceways incorporated", Horace Silver "Serenade to a soul sister", Paul Horn "Inside the Taj Mahal", Mc Coy Tyner "Expansions", Gary Bartz "Another earth", Pat Martino "Baiyina", Charles Tolliver "Paper man". Sul versante festival nel 1968 si svolsero, a giugno, il secondo Montreux Jazz Festival in Svizzera e il quindicesimo Newport Jazz Festival a Rhode Island, negli Stati Uniti. Purtroppo quello storico anno è passato alla storia del jazz anche per un doloroso lutto: il 15 giugno morì il grande chitarrista americano Wes Montgomery, era nato nel 1923. Tra i nati, invece, segnaliamo Arve Henriksen, Kyle Eastwood (figlio del regista Clint), Julia Hulsmann e David Sanchez. I cambiamenti, però, furono molti in tutta la musica, vale la pena ricordarne alcuni. La contestazione, infatti, non si esauriva a quei modelli culturali che investivano le forme d'arte, quelle letterarie e morali, giacché riuscì a trovare nella musica un ulteriore canale di diffusione, sicuramente più incisivo. Il modello musicale che si sviluppò in contemporanea fu il Rock, che interpretava il senso di inquietudine, di protesta e di ribellione dell'epoca. Esso si proponeva come un veicolo anti-tradizionalista e anticonformista, che voleva mettere al bando la musica melodica e sentimentalista e produrre un nuovo sound provocatorio. Con questo genere, quindi, si arrivò ad un punto in cui libertà in musica, nei costumi e libertà sessuale si fondevano prepotentemente. Fra i maggiori interpreti ricordiamo i Rolling Stones, Bill Haley, Jim Morrison, Jimi Hendrix, i Beatles e Elvis Presley. Al movimento dei "figli dei fiori", particolarmente presente durante gli anni della guerra del Vietnam, i maggiori interpreti - portavoce di pacifismo e solidarietà tra i popoli - furono Joan Baez, John Lennon e Bob Dylan. In Italia, però, il Sessantotto si visse qualche anno più tardi, ma, dal punto di vista musicale, le prime tracce della ribellione arrivarono come fenomeno di massa già nel 1966, quando Franco Migliacci e Mauro Lusini scrissero il testo di "C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones", poi portata al successo da Gianni Morandi, fino a quel momento classico interprete di testi facili e sentimentali, e per questo non capito e criticato da alcuni. L'ostacolo più grande venne dalla Rai, la cui censura si scagliò contro il testo eccessivamente esplicito, che citava la guerra in Vietnam, che proprio in quegli anni stava scrivendo alcune fra le pagine più sanguinose della storia contemporanea. Le idee e le atmosfere evocate, tipiche della gioventù dell'epoca, contribuirono a un successo senza precedenti per una canzone di questo tipo e soprattutto senza confini, dato che fu ripresa da Joan Baez che la consacrò quale inno alla pace. Molte canzoni furono scritte sugli avvenimenti di quegli anni, le più significative della musica italiana furono quelle composte da Fabrizio De André raccolte nell'album "Storia di un impiegato". Anche Francesco Guccini, cantautore dichiaratamente anarchico, dedicò agli avvenimenti in Cecoslovacchia un pezzo naturalmente intitolato "Primavera di Praga" e citò il periodo anche nella canzone "Eskimo" nell'album "Amerigo" del 1978. Di grande importanza è anche la canzone "Come potete giudicar" dei Nomadi, vero e proprio inno alla libertà. Tutti brani che poi sono diventati dei classici e che ancora oggi in molti cantano. Evidentemente l'onda lunga del Sessantotto non si è ancora esaurita e anche la musica ha testimoniato, a suo modo, tra svolta storica e contraddizioni, le sue istanze.