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Intervistando: Andrea "Dema" De Martini. Uno Jazz 2017, la musica e il nuovo cd degli Ottimo Massimo
Scritto da Marco Scolesi   
mercoledì 13 settembre 2017
SANREMO - Andrea "Dema" De Martini è noto nell'ambiente musicale sanremese per la sua doppia veste. Da una parte è musicista e compositore, sassofonista jazz e leader della band Ottimo Massimo, dopo aver militato nella Red Cat Jazz Band ed aver creato anche i Soy Califa. Dall'altra è anche organizzatore di eventi con la sua cooperativa Dem'Art, di cui è il presidente. Il principale evento organizzato dalla Dem'Art è il festival Uno Jazz, che con la direzione artistica del pianista Antonio Faraò si svolge ogni estate a Sanremo (ad agosto). Proprio a seguito dell'edizione 2017 di Uno Jazz e in occasione dell'uscita del nuovo cd degli Ottimo Massimo, abbiamo deciso di intervistarlo, anche per poter ampliare il discorso e poter analizzare nel dettaglio il significato della parola jazz nella contemporaneità. Ecco l'esito della nostra conversazione.

Allora Dema, partiamo da Uno Jazz 2017. Qual è il vostro bilancio dell'edizione che si è appena conclusa?
"Bilancio più che positivo sotto tutti i punti di vista. Per affluenza di pubblico, e in particolar modo per la presenza di molti stranieri. Il pubblico della "Sanremo Estiva" si sa è poco avvezzo da un pò di anni a questa parte ad accettare concerti con ingresso a pagamento. Si vuole il meglio e gratis. Non è semplice quindi proporre una rassegna di questo tipo. Devo dire che soprattutto quest'anno che la Dem'Art se ne è occupata direttamente, la campagna promozionale svolta nella vicina Costa Azzura ha prodotto degli ottimi risultati. Sicuramente è importante guardare oltreconfine, dove c'è più sensibilità e interesse verso la musica e la cultura in genere. Più che positivo per i riscontri e gli apprezzamenti giunti da ogni dove. Lo stesso sindaco, Alberto Biancheri, ha espresso la sua gratitudine per i molteplici attestati di consenso che ha ricevuto per questa rassegna. Più che positivo per come si è mossa la macchina organizzativa e qui devo ringraziare vivamente Unogas, tutto lo staff della cooperativa, gli uffici comunali, Pico Service, Italnolo, Nyala Wonder, Publilink, Ditta Pezzana, l'ingegner Gismondi e tutti coloro che si sono prodigati lavorando ogni giorno, tutto il giorno, domenica e feste incluse. Più che positivo per l'alto valore artistico offerto al pubblico. L'unica nota a cui devo fare un appunto è la collaborazione con Radio Montecarlo, per la data del 19 agosto, che ha prodotto qualche problema logistico e funzionale. Nel complesso comunque, riportando anche i giudizi di molti, devo dire che questa è l'edizione di Uno Jazz che ha avuto più successo. E' la rassegna, non solo estiva direi, ma di tutto il calendario delle manifestazioni del Comune di Sanremo, più importante, seconda solo al Festival della Canzone Italiana. Per ora, però (ride, ndr)".

Nota di M.S.: "Sono felice, da sanremese appassionato di jazz, del bilancio positivo di Uno Jazz 2017, poiché auguro alla rassegna una vita lunga e ricca di soddisfazioni, anche se auspico una virata più decisa verso il jazz. Sanremo, città della musica, non può prescindere dalla radice afro-americana. A livello qualitativo è l'evento più importante insieme al Tenco, anche se il Festival resta il più famoso e credo che sarà sempre così. La qualità non si sposa con i grandi numeri, tranne rarissime eccezioni".

Nella rassegna c'erano anche diversi eventi collaterali, penso ai "concertini" e alla bellissima mostra "Jazzin" della Phocus Agency al Forte di Santa Tecla. Sei soddisfatto?
"Moltissimo. La mostra fotografica è nata grazie ad Umberto Germinale della Phocus Agency, ed ha avuto circa seimila presenze in poco più di dieci giorni di vita. Certo era ad ingresso gratuito e non trovo corretto lodarsi esageratamente in questi casi, però, e non lo dico solo io, ha riscontrato il successo dei visitatori. A corollario della mostra, inoltre, grande successo hanno avuto i "concertini", organizzati sempre all'interno del Forte di Santa Tecla, curati in questo caso dal sottoscritto e finanziati direttamente dalla Dem'Art. Molti complimenti ho ricevuto per il programma proposto, per la sua varietà e per il suo contenuto. Sono state tutte esibizioni di alto livello artistico. Personalmente voglio ricordare in particolar modo il concerto del duo composto da Riccardo Zegna e Giampaolo Casati, "poesia allo stato puro" di due artisti che hanno fatto e continuano a fare la storia del jazz in Italia".

Noi, però, sul nostro sito, abbiamo avuto modo di sottolineare come il festival sia stato "poco" jazz. Giudizio che confermiamo, poiché il programma ci è sembrato un po' "commerciale" e più accessibile al grande pubblico, tranne il bellissimo concerto di Tom Harrell che era più rivolto ai "puristi" e agli appassionati. Cosa ne pensi del nostro giudizio?
"Premesso che la direzione artistica è affidata ad Antonio Faraò, di cui comunque sono sempre state condivise da tutti le scelte, parto per rispondere alla vostra domanda da una affermazione e punto di vista, contenuto nel vostro articolo: "questa unione, però, non dovrebbe mai dimenticare la centralità del jazz, come base e matrice, con l'esposizione del tema e gli spazi per l'improvvisazione". Dicendo questo allora perchè escludere dal "jazz" la musica degli Earth, Wind and Fire nella quale c'è parecchia improvvisazione (tra l'altro nel corso degli anni ci hanno suonato parecchi jazzisti, tra cui Chico Freeman), o Ivan Lins, o addirittura la prima serata? Certo è provocatorio, ma considerare solo Tom Harrell l'unica proposta jazz mi sembra un pò riduttivo. Citate nel vostro articolo-recensione, tra le figure odierne del jazz, Steve Coleman, John Zorn e Chris Potter. Ma se proponessi il progetto di John Zorn con Mike Patton, dove si ascolta del buon hardcore estremo, per voi quello sarebbe jazz? O certi lavori di Steve Coleman basati quasi esclusivamente sulla scrittura? Quello è jazz? Boh! Detto questo c'è da fare una considerazione importante: alcuni nomi storici da voi citati, come Wayne Shorter e Keith Jarrett, sono al momento impensabili per una questione di costi. La rassegna ha alti costi logistici e organizzativi (strutture, alberghi, voli, transfert, permessi, commissioni, service, sicurezza e così via) e dei cachet come percepirebbero i sopracitati non può permetterseli. Anche perchè non può, a differenza di altri festival, ad esempio nella vicina Costa Azzurra, praticare dei prezzi dei biglietti troppo elevati. Altri nomi citati, come gli artisti italiani (Fresu e D'Andrea), non è escluso che in futuro possano essere invitati. Personalmente però devo dire che in zona sono stati già proposti diverse volte (Fresu ad esempio lo scorso anno ad Ospedaletti). Un'altra considerazione è che inserendo una proposta diciamo "commerciale", ma comunque sempre di alto profilo artistico e qualitativo e comunque di matrice afro-americana, si può attrarre e avvicinare alle serate jazz, con una politica mirata sul costo dell'abbonamento, anche quel pubblico meno educato a certi tipi di musica. Sarò chiaro con un esempio. Quest'anno con 35 euro si poteva acquistare l'abbonamento per le tre serate. Cioè con soli 10 euro in più del costo del concerto degli Earth, Wind and Fire featuring Al Mc Kay potevi assistere a tutte le tre serate a pagamento e molti ne hanno approfittato. Altra cosa importante. Non dimentichiamo che questa rassegna, per volere di Unogas, è nata anche per uno scopo benefico. Il ricavato della vendita dei biglietti di spettanza di Unogas (l'altra parte va al Comune) viene inviato ad alla missione Toko-Vato in Madagascar. Avere uno spettacolo che contribuisca ad un maggior incasso è utile anche per questo scopo".

Nota di M.S.: "Comprendo le vostre motivazioni, ma non credo che si possa avvicinare un pubblico attento e consapevole attraverso una proposta più commerciale. Certamente si avvicina un pubblico vario e forse un po' distratto, in cerca di intrattenimento e svago. Il jazz, quando è autentico nell'espressione artistica ed è senza compromessi, è una musica di nicchia, un approccio alla vita, direi quasi una filosofia, insinua dubbi e destabilizza. E non è sempre adatta al grande pubblico, poiché richiede impegno all'ascolto. Anche la cultura in generale non è per tutti, così come la letteratura o il cinema d'essai. In sostanza, dal mio punto di vista, meglio "pochi ma buoni". Per chi organizza eventi, però, può valere il contrario ed è ovvio che sia così. E' altrettanto ovvio che per me non è jazz solo Tom Harrell, ma molte altre cose. La centralità, però, deve essere jazz, nel cuore e nell'approccio, come ad esempio Zorn, anche nelle proposte più estreme".

Nota ulteriore di A.D.M.: "Capisco anche le tue motivazioni, ma perché "pochi ma buoni" privando così invece della possibilità della conoscenza un pubblico più ampio? Perlomeno provarci, no? Io credo che qualsiasi jazzista sarebbe più contento di suonare davanti a 500 persone piuttosto che davanti a 40".


In futuro la linea della rassegna sarà sempre questa? Cioè quella di proporre un jazz più accessibile?
"Il futuro della rassegna non dipende da me, quindi non sono in grado di rispondere a questa domanda".

Personalmente non ho pregiudizi per nessun genere musicale. Non sarebbe più giusto, però, e anche più corretto per non confondere i profani, non mescolare troppo le carte ed essere più coerenti e sinceri con il nome del festival? Altrimenti sarebbe meglio chiamarlo Uno Music e non Uno Jazz. O è una forzatura?
"Non sono d'accordo. Il "jazz" è comunque al centro di questa rassegna, è la parte predominante, quindi trovo giusto denominare il festival Uno Jazz. Ritengo che ormai in questa epoca cosiddetta della "globalizzazione" ci possa stare una commistione di generi in un festival jazz, certo con le dovute misure. Sicuramente non credo che mai si vedranno a Uno Jazz i Deep Purple, o Elisa o Mary J. Blige".

Nota di M.S.: "E' vero che molti festival oggi puntano alla commistione di generi, però questa per me è una debolezza, un limite. E lo dico da appassionato di musica che ascolta diversi generi, con una predilezione per il jazz e la sinfonica. Non sono contrario ai cambiamenti e alle novità, ma così si crea confusione, è come quando entri in un grande negozio e non sai dove ti trovi. Hanno tutto, anche troppo, e non sai dove cercare i prodotti. Penso ai discount e ai supermercati, che però sono comodi e immediati. Non esistono più le botteghe, le piccole librerie o i negozi di dischi. Ecco, i festival di oggi sono un po' così, dei discount della musica. In questo quadro bisogna saper trovare i giusti equilibri anche se, in fondo, è sempre una questione di scelte".

Secondo noi del sito il jazz oggi, che per fortuna si è evoluto nel tempo, è la capacità di saper unire la tradizione con la modernità. Il tutto basato sul tema (e quindi su una parte scritta) più l'improvvisazione, imprescindibile, giusto per dare un'idea a chi non conosce il genere, però in tutte le variabili possibili e con la massima libertà di espressione, senza vincoli di forma o concettuali. La base o la matrice, in ogni caso, deve essere sempre jazz, anche se poi viene "fusa" con altri generi. Ovviamente è jazz anche quando è creativo o totalmente improvvisato. Tu cosa ne pensi?
"Già il fatto che parliate di "tema" e di una parte scritta come imprescindibile preclude quindi dal jazz di considerare tutte quelle forme più radicali e di pura improvvisazione e non solo, rinnegando artisti come Lennie Tristano, Warne Marsh, Jimmy Giuffré e Ornette Coleman. Lo stesso John Coltrane negli ultimi lavori, i "radicali" europei degli anni '70, l'ultima corrente free americana di William Parker e tanti altri. Fatemi capire, per voi, Coltrane quando suonava "My favorite things" era jazz, mentre con "Expression" non lo era? E' storia che il jazz dalla sua nascita ha subito cambiamenti, influenze, aperture di ogni tipo, così come è storia che il mondo si è trasformato e le culture, l'arte e la musica di ogni dove e parte si è mescolata e influenzata. Personalmente non mi piace parlare di fusione o fusion, perchè mi ricorda invece una corrente jazz nata negli anni '80 (Grusin e Brecker ad esempio) che non ho mai apprezzato particolarmente".

Nota di M.S.: "Imprescindibile è l'improvvisazione. John Coltrane è sempre jazz, anzi è forse l'espressione migliore del jazz moderno, anche quando suona free in "Ascension", un capolavoro. Detto questo il Coltrane che preferisco è anche quello di "A love supreme, "Africa brass" o "Crescent", ma l'elenco dei suoi capolavori sarebbe lungo. C'è anche "Giant steps", che se ricordi bene abbiamo ascoltato tante volte insieme da ragazzi".

Quali musicisti secondo te sono rappresentativi della scena jazz attuale o comunque della tua idea di jazz?
"Ascolto molta musica (purtroppo meno di una volta), di tutti i generi. Tutto ciò che mi provoca emozioni purchè fatto con sincerità, corrisponde alla mia idea di "musica". Essendo sassofonista in ambito più strettamente jazz seguo con attenzione i lavori di Chris Potter, Mark Turner e Pietro Tonolo, ma vi sono comunque attualmente molti artisti di alto profilo artistico in circolazione, solo per citarne alcuni e tralasciando i nomi storici (Jarrett, Shorter e Lloyd) direi Ibrahim Maloof, Manu Katché, Theo Croker e Kamasi Washington. Non dimenticando la scena italiana con lo stesso Antonio Faraò, o altri finiti un pò nel dimenticatoio come Ricardo Zegna e Luigi Bonafede, o gli emergenti Dino Rubino, Francesco Bearzatti e Giovanni Falzone. Certamente non esiste più come un tempo il caposcuola, la figura di riferimento per la scena jazzistica, l'Armstrong, l'Ellington, il Parker, il Davis, il Tristano, il Coltrane del momento capaci di cambiare le sorti e gli indirizzi della musica".

Nota di M.S.: "Sono d'accordo sulla ricerca delle emozioni in musica. Certi musicisti troppo tecnici, anche se bravissimi, li trovo un po' freddi. Certamente ai giorni nostri manca quella poesia, che personalmente ritrovavo in Chet Baker o Dexter Gordon. Ma non è nostalgia, è solo una constatazione. Infatti oggi non mancano i talenti, tantissimi e da ogni parte del mondo. Poesia a parte o discorsi tecnici, la scena attuale è sempre florida e propositiva. Pensa alla scena israeliana o a quella del nord Europa. Entrambe ricchissime, anche se gli Usa restano all'avanguardia".

Passiamo ora alla tua produzione musicale. Da poco è uscito il nuovo cd della tua band Ottimo Massimo. Come ci hai lavorato e come nasce il progetto?
"Il progetto Ottimo Massimo è nato alcuni anni fa da una mia idea. Ovvero principalmente quella di sintetizzare, trascrivere su carta, arrangiare  e sentire soprattutto ciò che, pigramente, negli anni avevo composto e pensato. E' stato registrato un primo cd nel 2012, pubblicato dopo mille traversie un anno dopo, "For Ail". La formazione comprendeva Enzo Cioffi, Alberto Micciché, Lorenzo Herrnhut Girola, Davide Fusi e me. Nel primo album (di cui ricordo la tua bellissima recensione) erano presenti oltre ad alcuni brani originali di mia composizione brani di altri autori. Il progetto già poco dopo la registrazione ha avuto dei cambi di formazione fino ad arrivare all'organico attuale, costituito dagli originari Enzo Cioffi, io e Herrnhut e gli inserimenti di Francesco Bertone al basso e contrabbasso e Cristiano Callegari al piano. Mi ha fatto molto piacere coinvolgere Cristiano, primo per l'amicizia che ci lega dagli anni dell'Università a Pavia, dove risiede, ma soprattutto perchè in Cristiano ho trovato finalmente il pianista "ideale" per questo progetto. Per la sua sensibilità e ricercatezza armonica. Grande piacere ovviamente anche per lo stesso entusiasmo mostrato da Francesco Bertone nello sposare il progetto, espertissimo e raffinatissimo contrabbassista di Cuneo, con alle spalle  molteplici esperienze in vari generi e colonna storica del gruppo folk  piemontese Trelilù. Non tralascio certamente chi da subito mi ha seguito e ha creduto negli Ottimo Massimo, ovvero Enzo Cioffi, compagno ormai di mille avventure e lo straordinario chitarrista Lorenzo. L'unico, credo, svizzero al mondo che arriva sempre in ritardo agli appuntamenti".

Ci puoi parlare dei brani?
"In questo nuovo lavoro "Tella tingia te" ho voluto innanzitutto registrare nuovamente tre brani a me molto cari, già presenti nell'album precedente: "For Ail", ballad che ho composto per mia moglie Lia, "A muzz", il mio primo brano composto e messo su carta anni fa, e "Otellik", altro brano a cui tengo molto e che ho composto in una notte pensando alla mia gatta Otella (diabolica come Diabolik). Ho voluto inserirli anche perchè volevo che finalmente si sentissero "bene". A mio avviso il primo cd, pur essendo stato suonato col cuore e devo dire bene da tutti, presenta delle carenze da un punto di vista del "suono". Non è quello il suono che volevo io e che voglio per questo progetto. Nel nuovo lavoro, invece, grazie al lavoro di registrazione di Stefano Spina e al missaggio della mitica Marti Jane Robertson si è creato il sound che volevamo. In scaletta abbiamo due brani scritti in collaborazione con Cristiano Callegari ovvero "Poco distante" e "Il tema di Zlatko". Altri brani di mia composizione: "Colle muse ceneri", composto in un momento particolare della mia vita in seguito ad una situazione che mi ha creato forte malessere, "Tella tingia te", nata da una frase, un riff che canto sempre alla mia gatta (e c'è anche una versione cantata con le interpretazioni magnifiche di Valentina Carenzo e Ray Dos Santos), "A night at the Cave", composta pensando ai miei ricordi e trascorsi (anche con te) alla Cave di Napo e Titti. E ancora "La scoperta del Panaché", un brano molto veloce e tecnico, "Subson", un breve brano solo per contrabbasso, un "sospetto", una storpiatura di "soupcon" in francese che si usa come da noi per dire "un po'", "Warne and Geraldine", ballad composta e dedicata a Warne Marsh. Per chiamarla così ho chiesto il permesso a Geraldyne Marsh, la vedova di Warne, con cui sono in contatto su Facebook. E' stata entusiasta e ha apprezzato anche molto il brano (e tutto il cd). Vi è la rivisitazione di una canzone di Nick Cave ("Into my arms"), artista che amo moltissimo. Il cd si apre con una versione un po' free della celebre "Se telefonando" e si chiude con "Vera", un altro breve brano per solo piano, composto dopo la scomparsa di Vera, madre di mia moglie".

Nel cd ci sono anche alcuni ospiti, come Faraò e Casati. Come si sono integrati nel gruppo? Raccontaci qualche aneddoto delle registrazioni in studio...
"Non li ho coinvolti solo come semplici ospiti. Con Antonio c'è un rapporto, sia professionale, essendo uno dei fondatori e sicuramente l'artista più rappresentativo della Dem'Art, sia di amicizia, rispetto e stima da quando si sono incrociate le nostre strade, ovvero dal 2008. Antonio è uno dei più grandi pianisti al mondo. Ha suonato e suona con i più grandi, solo per citarne alcuni  Joe Lovano, Chris Potter, Bireli Lagrene, Didier Lockwood, Benny Golson, Chico Freeman, Miroslas Vitous, Mc Coy Tyner, ma con la stessa intensità, preparazione e calore ha suonato con gli Ottimo Massimo, emeriti sconosciuti (e cavolo se si sente nel cd). Questo è quello che fa di un musicista un grande artista. Casati l'ho coinvolto, dopo anni che c'eravamo persi un pò di vista, perché oltre ad essere un ottimo trombettista con alle spalle importantissime collaborazioni (Carla Bley ad esempio), devo a lui, al suo corso di musica d'insieme di vent'anni fa ad Imperia, del compianto Garibbo, se in qualche modo sono arrivato ad appassionarmi a scrivere brani, allo studio dell' armonia e dell'arrangiamento. E non solo, tramite i suoi insegnamenti e consigli  sulla professione, sulle dinamiche all'interno di un gruppo, su come approcciarsi nella ricerca di concerti, spazi, sulla cultura, l'arte in genere, mi ha dato tanto non solo da un punto di vista musicale. Non dimentichiamo poi Luigi Di Nunzio. Un sassofonista incredibile, con un linguaggio originalissimo, sintesi della lezione di Parker e Coltrane con le innovazioni e particolarità di uno Steve Coleman. Uno dei maggiori talenti attualmente in circolazione". Un episodio simpatico riguarda "La scoperta del Panaché". In origine l'avevo chiamato "Dove corri Tella", proprio per le sue dinamiche. E' un brano molto veloce e tecnico (e infatti non ci suono, ride) che mi rimanda agli scatti improvvisi dei gatti. E' stato uno dei primi brani ad essere incisi, con notevoli soli di Antonio e Luigi. La sera a cena vediamo in Luigi una reazione di sorpresa per l'ordinazione di Enzo di un Panaché. Cavolo non sapeva cosa fosse, ovviamente giù con gli sfottò, anche campanilistici: "ma come, voi napoletani ignorate cosa sia un Panaché?". Da lì la decisione, in suo onore, di cambiare il titolo del brano".

Progetti futuri, sia con la Dem'Art che con il tuo gruppo?
"La Dem'Art è una società cooperativa e continua nella sua missione e nel suo scopo principale di accrescere da ogni punto di vista la condizione professionale dei suoi soci. Ci sono diversi progetti definiti in via di realizzazione, ma io preferisco sempre parlarne a cose fatte, mai prima. Per quanto riguarda gli Ottimo Massimo, ufficialmente il 15 settembre esce su piattaforma on-line il nuovo cd ed è partita la promozione di Alpha Music, l'etichetta con cui è stato pubblicato. Ci tengo a ringraziare di cuore Alessandro Guardia e Fabrizio Salvatore per l'appoggio, la partecipazione e l'entusiasmo con cui hanno sposato il progetto. Credo, non con presunzione ma con obiettività, di poter affermare  che "Tella tingia te" è un ottimo lavoro. Suonato bene, con sincerità, registrato bene e mixato bene e per questo non mi stancherò mai di ringraziare tutti coloro che ne hanno preso parte".