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Nice Jazz Festival 2017: le impressioni della quarta serata (giovedì 20 luglio)
Scritto da Adriano Ghirardo   
martedì 22 agosto 2017
NIZZA - I festival jazz si sono trasformati, salvo rare eccezioni, in calderoni contenenti le musiche più disparate. La nostra chiara linea editoriale è quella di privilegiare le sincere espressioni dell'arte afroamericana ed è per questo che, all'interno del cartellone del Nice Jazz Festival (17-21 luglio), abbiamo seguito le serate del 20 e 21 luglio che hanno visto esibirsi Daniel Freedman, Shai Maestro, Abdullah Ibrahim, Henri Texier e Kamasi Washington. Ecco il resoconto della quarta serata del 20 luglio: il batterista newyorkese, conoscitore della tradizione e collaboratore, tra gli altri, di Tom Harrell e Wynton Marsalis, persegue, da alcuni anni, una linea votata all'inclusione di elementi melodico-ritmici mediorientali all'interno di un contesto jazz acustico. Non la solita world music dal facile esotismo ma una fusione musicale che produce risultati interessanti. La chitarra sempre coinvolgente di Gilad Hekselman, il virtuosismo pianistico di Yonathan Avishai e l'apporto ritmico di Felipe Cabrera al contrabbasso hanno coinvolto il pubblico nella loro breve esibizione di inizio serata sino alla standing ovation finale. Shai Maestro, alla guida del suo trio completato da Jorge Roeder e Ziv Ravitz, ha presentato essenzialmente il repertorio del nuovo cd “The stone skipper”. Una musica più complessa ritmicamente ed intricata negli “obbligati” che, però, risulta meno programmatica rispetto al disco lasciando spazio a maggiore interplay. Un concerto che prende quota strada facendo ed in cui Ravitz, oltre ad un drumming incisivo, utilizza il computer per processare, talvolta, il suono del piano del leader aggiungendo sonorità contemporanee al classico trio. Il clou della serata, anche solo per l'importanza storica, era costituito dal concerto del pianista sudafricano Abdullah Ibrahim. Classe 1934, un passo poco sicuro nel salire sul palco ma sono bastate poche note del medley iniziale in piano solo per fugare i dubbi sulla sua immutata classe musicale. Artista importante soprattutto negli anni '70, vive oggi in posizione defilata la sua figura di maestro del jazz. Una imponente sezione fiati, guidata dalla tromba di Terence Blanchard, ha regalato una lezione di stile, dallo swing iniziale a Monk passando per le composizioni originali di un Abdullah Ibrahim che, a parte le introduzioni e qualche breve solo, si è ritagliato il ruolo di regista guidando sottotraccia l'ensemble. In definitiva tre differenti espressioni musicali che testimoniano quanto il jazz possa ancora essere vario e piacevole. Soprattutto quando non si vergogna delle proprie radici e lavora per
adattarle alla contemporaneità.