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Ospedaletti: "Jazz sotto le stelle" si conferma con "Crossing". Grande intensità con Peter Erskine
Scritto da Adriano Ghirardo   
luned́ 07 agosto 2017
OSPEDALETTI - E' caratteristica peculiare del jazz quella di attraversare i confini e gli steccati di genere. Sarebbe inutile, soprattutto per i fruitori del nostro sito, stilare un elenco dei musicisti che hanno inglobato influenze esterne nel grande mare della musica afroamericana. Quindi la scelta di Umberto Germinale (direttore artistico di "Jazz sotto le stelle" di Ospedaletti) di intitolare la quattordicesima edizione della rassegna “Crossing” si è rivelata azzeccata, sia per la volontà di attraversare la storia del jazz nelle tre serate sia per la presenza di musicisti che quella “fusione ed attraversamento” hanno prodotto nella loro carriera. Il programma, tenutosi nella splendida cornice dell'Auditorium Comunale, ha visto esibirsi, dal 2 al 4 agosto, il quartetto di Emanuele Cisi, il nonetto di Riccardo Zegna e la The Dr.Um Band di Peter Erskine. Il cinquantatreenne sassofonista torinese ha presentato, per l'occasione, il nuovo progetto “No eyes”, dedicato alla leggendaria figura di Lester Young. Affiancato da Dino Rubino (pianoforte e flicorno), Rosario Bonaccorso (contrabbasso) e Peter Van Nostrand (batteria), il leader ha riletto pagine classiche legate a Young proponendo, però, anche alcune composizioni originali a lui dedicate. Il concerto si è dipanato con piacevolezza evitando il rischio della riproposizione calligrafica. I musicisti coinvolti, infatti, hanno una tale dose di esperienza e talento da rielaborare con personalità pagine più o meno note della storia del jazz dimostrandone l'attualità grazie ad un fraseggio dalle scelte melodiche moderne. Più complicato (e meno riuscito, a nostro parere) il concerto di Riccardo Zegna. Le sue doti di pianista ed arrangiatore non sono in discussione ma, forse per poco lavoro o per una serata storta, l'ensemble ha fatto fatica a decollare. I brani di Ellington, Monk, Gillespie e Mingus costituiscono una palestra su cui si sono cimentate generazioni di solisti ma, nonostante la presenza di veterani quali Pietro Tonolo e Giampaolo Casati, raramente è scoccata la scintilla che trasformi la valida rilettura in vero momento artistico. Ben altra intensità, invece, si è riscontrata nella serata clou. Erskine, noto soprattutto per la militanza in Weather Report e Steps Ahead, è un mostro sacro della batteria jazz in grado di muoversi in differenti contesti, dal trio con John Abercrombie e Marc Johnson sino a progetti decisamente più elettrici. Oggi si presenta insieme a Bob Sheppard al sax, John Beasley alle tastiere e al nuovo talento del basso a sei corde Benjamin Shepherd proponendo una fusion sempre alla ricerca della melodia e scevra dall'esibizione muscolare ed esasperata che caratterizza spesso quel genere. Dal primo brano risulta evidente il piacere nel suonare, gli sguardi ed i sorrisi tra i musicisti fanno capire che non si tratta di routine anche se la carriera di Erskine gli potrebbe permettere di vivere sugli allori. Sheppard, robusto sassofonista di chiaro stampo breckeriano, e Beasley, già visto alla fine degli anni '80 con Miles Davis, rappresentano una continuazione della tradizione jazz con altre sonorità ed il fatto che nelle improvvisazioni spuntino qua e là citazioni dei classici (l'ellingtoniana “Take the Coltrane” che fa capolino in un solo del pianista) spiega più di mille parole la voglia di espandere un universo musicale che si conosce e si ama. Capitolo a parte va speso per il giovane bassista neozelandese che dispone di una tecnica strumentale impressionante nei soli ma costituisce, insieme al drumming di Erskine, delicato anche nei momenti più ritmati, una perfetta sezione ritmica. Come dice sempre Umberto, con giusta dose di scaramanzia ligure, “speriamo di rivederci alla quindicesima edizione”.

(9 fotografie di Giulio Cardone alle pagine 97 e 98 della Galleria immagini)