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Recensendo [libri]: "Benedetti da Parker" di Alessandro Agostinelli
Scritto da Marco Scolesi   
mercoledì 17 maggio 2017
Spesso noi del Mellophonium.it ci siamo occupati del rapporto tra scrittura e musica, nello specifico il jazz. E' uno dei nostri temi ricorrenti, che continueremo ad indagare. Non possiamo, quindi, che salutare con piacere l'uscita del nuovo romanzo di Alessandro Agostinelli (poeta, direttore del Festival del Viaggio, fondatore del magazine culturale on-line Alleo.it e curatore di guide per Lonely Planet) dal titolo "Benedetti da Parker" (Cairo Editore). E nel titolo è già contenuto il destino di questa riuscita prova tra letteratura e jazz, ovvero l'omaggio al grande sassofonista americano Charlie "Bird" Parker. E di conseguenza l'omaggio a un'epoca, gli anni '50, quella della nascita del Be Bop. E' la storia di Dino Alipio "Dean" Benedetti (richiamato nel titolo con un gioco di parole), un sassofonista italo-americano (realmente esistito, originario di Torre del Lago, paese del compositore Giacomo Puccini) che all'inizio, nella Los Angeles degli anni '40, tenta di sbarcare il lunario con la sua musica (dal punto di vista letterario potrebbe far parte del mondo di John Fante). Partito dallo Utah e passando per il Nevada, è costretto ad ospitare a casa un amico (Jimmy Knepper, poi trombonista di Charles Mingus, entrambi sempre ubriachi e in cerca di droga) per dividere l'affitto in tre parti (l'altra inquilina è la moglie Beverly, che vorrebbe fare l'attrice e che poi se ne andrà). Il contesto, quindi, è quello classico del musicista jazz senza soldi che però insegue il suo sogno senza compromessi ("Pensavo che gli altri vedessero quanto fosse inutile la mia vita", dice ad un certo punto). Tra disavventure e ingaggi improbabili (anche in locali da ballo), e con il modello di Lester Young, piano piano per Benedetti si fa largo il mito di "Bird", che in quegli anni stava iniziando a fare la storia del jazz e della musica. E tutto cambiò, per sempre, per Benedetti e per tutti noi appassionati di jazz (il consiglio è quello di riascoltare i dischi dell'epoca durante la lettura). Alla fine quella per Parker, di cui Benedetti registrò molta musica (che poi è stata ripubblicata e oggi è ascoltabile in un box unico della Mosaic Records), diventò un'ossessione. Finché, per sottrarsi alla giustizia americana, il povero "Dean" è costretto ad attraversare l’Oceano in senso contrario. Non un viaggio verso il futuro o la speranza, ma dentro l’immobilità e l’amarezza. Meta finale, ovviamente, Torre del Lago, il paesino toscano di suo padre e di Puccini, tra gli amici al bar, le partite a dama e gli aspiranti musicisti che sognano l’America. Nei due diversi continenti, le vite di Parker e Benedetti (entrambe alimentate dall'eroina, che però a Torre del Lago non si trovava, mentre negli Stati Uniti era all'ordine del giorno) si bruciano alla stessa velocità. Come uno specchio, a 34 anni. Quello di Agostinelli è un romanzo appassionante che si legge tutto d'un fiato, come un assolo di Parker. Oltre ad omaggiare due musicisti (uno tra i più famosi del jazz, l'altro sconosciuto ai più), l'autore celebra un periodo storico e, con un po' di nostalgia, ci ricorda come il jazz, in quegli anni, corresse in parallelo con le vite degli artisti e che da esse prendesse l'ispirazione. E' la poetica del jazz, che oggi, tra troppo tecnica e ricerca estetica, si è un po' smarrita.

Nota: forse non tutti sanno che il Mellophonium, cartaceo e on-line, è l'organo di stampa del Centro Studi Musicali Stan Kenton di Sanremo, fondato da Freddy Colt e Thommy Campbell. Con piacere, quindi, nel libro di Agostinelli, a pagina 139, ritroviamo in nostro Stan (che nella sua orchestra utilizzava il Mellophonium, uno strumento a fiato simile alla tromba), anche se per un breve passaggio. Benedetti, già in Italia, sta ascoltando Radio America e Agostinelli scrive: "Attaccò un pezzo e lo riconobbi subito. Era quel megalomane di Stan Kenton. Kenton era un grande capo orchestra, un padrone amato dai suoi musicisti. Nel periodo più felice del Be Bop, quando "Bird" e Dizzy (Gillespie, ndr) imperversavano, questo bianco lord egopatico si era messo in testa di condurre la sua orchestra verso vertici armonici difficili da produrre, ma contemporaneamente piuttosto abbordabili per il pubblico. E di pubblico Stan ne aveva molto. Stan portava la sua orchestra ad un suono così compatto, ma così compatto che avremmo dovuto aspettare almeno dieci anni per cominciare a sentire qualcosa del genere con l'orchestra di Gil Evans. Era pura energia. E una goduria per le orecchie. Anche Igilio (l'amico di "Dean", ndr) apprezzava questo fluttuante e fortissimo incedere di testosterone musicale che alcuni non chiamavano nemmeno jazz. Era semplicemente Stan Kenton". Una sintesi perfetta di quello che è stato Stan Kenton, per il jazz e per la musica. Da segnalare, infine, una coincidenza che ci fa apprezzare il libro di Agostinelli ancora di più: il nome di Kenton è associato a molti musicisti italo-americani (proprio come Benedetti) che collaborarono con lui e con la sua orchestra. Tra questi ricordiamo Pete Rugolo, Carl Fontana, Vido Musso e Frank Rosolino.