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L'editoriale [numero 35]: "Haruki Murakami, scrittura e jazz inseguendo la libertà"
Scritto da Marco Scolesi   
sabato 29 aprile 2017
Sul Mellophonium.it spesso mi sono occupato del rapporto tra la musica e la scrittura. Nel nostro caso il jazz, ma non solo. Ora torno sulla questione grazie allo scrittore giapponese Haruki Murakami, che tra i contemporanei è forse quello più legato al jazz. Nato nel 1949 a Kyoto, è stato tradotto in circa cinquanta lingue e i suoi best seller hanno venduto milioni di copie. I suoi lavori di narrativa si sono guadagnati l'acclamazione della critica e numerosi premi, sia in Giappone che a livello internazionale, come il World Fantasy Award (2006), il Frank O'Connor International Short Story Award (2006), il Premio Franz Kafka (2006) e il Jerusalem Prize (2009). Le opere più celebri sono "Nel segno della pecora" (1982), "Norwegian wood" (1987), "L'uccello che girava le viti del mondo" (1994-1995), "Kafka sulla spiaggia" (2002), e "1Q84" (2009–2010). Ha inoltre tradotto un cospicuo numero di lavori dall'inglese al giapponese, spaziando da Raymond Carver a J.D. Salinger. Da molti anni è considerato uno dei favoriti al Premio Nobel per la letteratura. Per la nostra ricerca emblematico è il libro "Ritratti in jazz" (Einaudi), una sorta di atlante sentimentale del jazz. Lo ha scritto nell'unica maniera possibile: scegliendo dalla sua collezione di dischi (rigorosamente in vinile) i musicisti indimenticabili, i brani piú preziosi, le performance storiche, e raccontandoceli con la stessa contagiosa passione di un amico con cui dividere un bicchiere in un jazz club. A completare questo lavoro, perfetto anche per chi non conosce il mondo del jazz, ci sono la straordinaria capacità affabulatoria e la sottile malinconia dell'autore, accompagnate dai ritratti dei musicisti dipinti dall'artista Wada Makoto. Murakami ha gestito un jazz club per molti anni prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura: ecco, leggendo "Ritratti in jazz" si ha l'impressione di essersi appena seduti a uno dei tavoli del locale a bere qualcosa mentre un vecchio amico, Murakami stesso, ti racconta quello che stai ascoltando. Il tono è confidenziale, caldo, privo di specialismi, eppure pieno di informazioni, curiosità, aneddoti, di cose che si scoprono. Quello, però, che piú colpisce è la passione sincera e bruciante che ogni "ritratto" trasmette: Murakami riesce veramente a farti "sentire" il brano o il disco in questione. "Ritratti in jazz" regala al lettore un Murakami allo stesso tempo inedito e riconoscibile. Riconoscibile perché il jazz, ancora piú della corsa, è una passione che forma l'ossatura stessa della sua opera creativa. I suoi romanzi sono pieni di jazz, allusioni a dischi e musicisti: in un'ipotetica ricetta della poetica murakaminiana l'ingrediente jazz è fondamentale e i suoi lettori lo sanno bene. Inedito perché mai come in questo libro si ha l'impressione di sentire la voce autentica e senza mediazioni narrative di Murakami, come se il lettore entrasse nel suo mondo piú quotidiano e genuino. Il libro è composto da cinquantacinque schede che, a partire dal ritratto di un musicista dipinto dall'artista Wada Makoto, commentano un disco storico. Ogni scheda, nelle mani di Murakami, diventa un piccolo racconto, un frammento di memoria autobiografica o il fulmineo ritratto di un artista, di un'epoca. Da Chet Baker a Benny Goodman, da Charlie Parker a Billie Holiday, Charles Mingus, Bill Evans, Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Miles Davis e tanti altri, si va a comporre una antologia ideale, una guida all'ascolto compilata da Murakami in persona. "Nello studio uso soprattutto delle vecchie e grandi casse della Jbl di tipo Back Loaded Horn - sono piuttosto antiquate, lo ammetto - e a pensarci bene sono già venticinque anni che la musica jazz per me ha il loro timbro - scrive Murakami -. Di conseguenza, bene o male che sia, ormai non riesco a immaginarla con un suono diverso: il mio corpo si è completamente assuefatto alla loro vibrazione. Mi rendo conto che al mondo ci sono tanti modi migliori di ascoltare il jazz, ma io preferisco farlo cosí, rannicchiato come una talpa in questa confortevole tana. La mia visione del jazz è molto simile, molto vicina a questo particolare suono, cioè è la mia visione individuale, personale. Credo che non evolva quasi. E dato che la nostra memoria per lunghi periodi gira sempre intorno agli stessi punti focali, finiamo col perdere di vista il corso degli eventi. Di conseguenza, se qualcuno di voi non fosse d’accordo con le mie osservazioni sui musicisti jazz presi in considerazione qui, non dia troppa importanza alle mie parole. Semplicemente mi sono divertito ad ascoltare dei brani musicali, e poi a scriverci qualcosa sopra. Se la cosa funziona e riesco a farvi sentire quella sorta di calore che provo nella mia tana, nulla potrebbe farmi piú piacere". E aggiunge l'artista Wada Makoto: "Il titolo della personale che ho tenuto nel ’92 era Jazz. Ho scelto venti musicisti jazz e li ho ritratti. Questi disegni hanno colpito Murakami, che ha deciso di scrivere un testo per ognuno di essi. Nel ’97 ho fatto un’altra mostra, Sing, dedicata ad altri musicisti jazz. I loro ritratti, insieme ai precedenti, sono stati riuniti in un unico volume. La passione di Murakami per il jazz è ben piú profonda della mia. Le opere che ho esposto nelle due mostre hanno preso ognuna la propria strada e si sono disperse per il mondo, ma grazie ai testi di Murakami, i musicisti raffigurati hanno potuto ritrovarsi tutti insieme nello stesso luogo". Ecco alcuni esempi che arrivano direttamente dalla penna di Murakami: su Chet Baker ("Nel suo modo di suonare c’era qualcosa che faceva nascere in petto un ineffabile, lancinante dolore, delle immagini e dei paesaggi mentali che soltanto la qualità del suo suono e il suo fraseggiare sapevano trasmettere"), su Gil Evans ("Si può sprofondare nell’ascolto della musica che ci ha lasciato senza mai stancarsi. C’è in essa il senso della scoperta e della gioia. Perché, per quanto la si ascolti, non vi si troveranno cliché"), su Billie Holiday ("Lei prende su di sé in blocco tutti gli sbagli che ho commesso fino ad oggi, tutte le ferite che ho inferto finora a tante persone attraverso quello che creo, cioè attraverso la scrittura: e mi perdona"), su Miles Davis ("Miles conficca senza pietà il suo cuneo magico nelle incrinature dell’animo"), su Thelonious Monk ("Era paragonabile a un uomo misterioso uscito dal nulla che appare all’improvviso, posa sul tavolo qualcosa di straordinario, e scompare cosí, senza dire una parola"). Il jazz, inoltre, è presente in quasi tutti i libri di Murakami, anche in modo indiretto e inconsapevole. E' sempre lì ad ispirare la scrittura, come nel caso dell'ultimo "Il mestiere dello scrittore" (Einaudi), nel quale Murakami ci fa entrare nella sua officina creativa. Murakami fa entrare i suoi lettori nell'intimità del suo laboratorio creativo, li fa accomodare al tavolo di lavoro e dispiega davanti a loro i segreti della sua scrittura. "Il mestiere dello scrittore" è anche un'autentica autobiografia letteraria di uno degli autori piú schivi del pianeta. È un libro pieno di curiosità, confidenze e rivelazioni sul mondo di Murakami. Tutto, però, nel nome della libertà, come in una improvvisazione jazz.